giovedì 20 luglio 2017

CONSIGLI ESISTENZIALI PER UNA VACANZA SERENA

(Difficoltà: 4,3/5)
La vacanza come "ricerca di novità"
Si tende ad avvicinarsi all'esperienza della vacanza con la mentalità di ricercare il “nuovo”. L'evasione dalle routine della quotidianità cittadina del resto dell'anno è interpretata come ricerca della novità per la novità, al punto che se non si riesce a fare qualcosa di inedito la vacanza è vista come un fallimento. Va da sé che il modo più facile e scontato per intendere questa ricerca della “novità” è quello di associarla all'uso di droghe, a incontri sessuali occasionali, a comportamenti da scavezzacollo ecc.
Ma quello della ricerca incondizionata della novità è esattamente l'approccio sbagliato, quando si tratta di vacanze. Vediamo perché.


La “Novità” è un Inganno. Bisogna Imparare ad Apprezzare la Quotidianità

L'approccio corretto è di valorizzare la vacanza non come rottura di tutte le routine, ma come una routine alternativa che, a differenza di quella di studio o di lavoro, sia rilassante e ricreativa. Proprio questa nozione “positiva” di routine si è persa oggi, e in ciò va scorta una plausibile chiave di lettura dell'infelicità dei tempi che viviamo.
Le persone cercano quindi il “momento memorabile”, la novità che spezzi la routine, la quotidianità. Esse hanno perso la capacità di assestarsi su una felicità magari meno intensa, ma più continua e legata alla normalità della vita quotidiana; una felicità che ti porti ad assaporare ogni momento di questa come donato da Dio (o dalla Natura o da altro, per i non-credenti). Sembrerebbe la formula perfetta: una felicità senza alti e bassi, e continua durante la giornata perché legata a quello che uno fa nella quotidianità. In una parola: serenità, l'unica forma di felicità (che rimane comunque un concetto problematico) alla portata dell'essere umano.
Perché la novità è un concetto farlocco: essa non esiste, in quanto in più di 4 milioni di anni di esistenza dell'uomo tutto è già stato sperimentato in un modo o nell'altro. L'uomo è rimasto sempre lo stesso: come si pretende quindi che ciò che gli possa procurare piacere possa cambiare? Anche le “nuove” droghe agiscono sempre allo stesso modo, sul livello di dopamina e endorfine, e quindi sulla chimica cerebrale: cosa si vuole quindi che causino di diverso da euforia, energia esasperata, allucinazioni o altro che non si sia già visto? E se pur anche esistessero ancora vene inesplorate di felicità, cioè esperienze effettivamente nuove e gratificanti in modo inedito, prima o poi si esaurirebbero, perché essendo il mondo limitato anche il nuovo lo è. Ed invece è nella natura – e nella sua stessa definizione - della ricerca del nuovo di non finire mai. Quindi la nostra ricerca del nuovo ci porterebbe prima o poi in ogni caso oltre i confini dell'esperibile, oltre il mondo: ci porterebbe nel nulla. Un nulla che è in realtà già parte integrante del nostro essere, perché come si diceva tutto è già stato esperito, il nuovo non esiste più e la constatazione del nostro girare a vuoto alla sua ricerca ci rende dei cinici votati al(l'auto)nichilismo, come vedremo più avanti.


La Ricerca del Nuovo per il Nuovo Provoca Male Esistenziale, “Fatica di Vivere”

Imparare a vivere la quotidianità, ad apprezzarla, e rifuggire il gusto sterile della novità, quindi. Ma le persone – giovani, ma non solo – vivono oggi la quotidianità come noia. Ciò distrugge lo spirito e lo scopo delle vacanze, perché queste non fanno in realtà altro che sostituire una nuova quotidianità a quella a cui si cerca di sfuggire: questo è sempre stato il loro scopo e ciò per cui sono nate. Ma la mentalità contemporanea rifiuta proprio il concetto di quotidianità, e il fatto di ritrovarsene un'altra – anche se radicalmente diversa e alternativa - durante le vacanze è per essa insopportabile. Allora si forza il meccanismo, si cerca di rifuggire anche questa versione di quotidianità con esperienze “nuove” e più o meno estreme, che abbiano anche l'effetto di produrre qualcosa di emozionante e “strano” da raccontare ai compagni della scuola o ai colleghi dell'ufficio. La vacanza diventa allora la caccia all'attimo risolutore e definente, al “momento memorabile”, al gesto epico e originale. In realtà e in fin dei conti, non si fa altro per questa via che seguire il gregge e fare quello che fanno tutti, perché questo impulso alla novità non è individuale, ma collettivo: è un segno del tempo, un elemento epocale. E' una moda. Quindi non si sfugge veramente alla quotidianità: solo, la si spezza in attimi da divorare, e nel fare ciò la si eleva di tono e ritmo a un livello in molti casi insostenibile. La serata a fare bagordi diventa allora una via di fuga dalla routine della spiaggia, che era stata a sua volta pensata come via di fuga dalla routine del resto dell'anno: le vacanze diventano una fuga da se stesse, e quindi una fuga al quadrato. Alla fine, si torna a scuola o in ufficio più stressati di prima, e si scopre che quello che si ha da raccontare non è nulla di diverso o migliore da quello dei compagni o colleghi. Siamo caduti nella trappola, ci siamo scoperti vittime del nostro tempo. E ciò accade perché si è persa l'abitudine di riflettere su ciò che si è e su ciò che si fa, sul senso di quello che si fa. Come dei Pac Man, corriamo in ogni direzione alla ricerca di esperienze da divorare, di attimi da vivere hic et nunc: abbiamo perso la capacità di pensare in prospettiva. Ma proprio per questo, continuiamo a ingoiare, senza accorgercene, ciò che avevamo rigurgitato poco prima, e ogni volta l'esperienza ci lascia un retrogusto amaro, che non sappiamo spiegarci. Un senso di noia si appropria allora di noi, crescente e più intenso di quello che cercavamo di rifuggire. Non è tanto un circolo, quanto una spirale che ci trascina sempre più in basso con volte ogn'ora più ampie. Cerchiamo allora esperienze ancora più estreme (cerchiamo cioè di esorcizzare la percepita assenza di esperienze nuove aumentando l'intensità di quelle vecchie), ma non servono a nulla se non a imprimere una accelerata a un motore che già gira a vuoto. Ogni, volta, disperdiamo energie vitali di quelle che lo stile di vita occidentale rende sempre più difficile recuperare: la fatica del vivere si accresce.


Dal Cinismo Esistenziale al Cinismo Sociale

La percezione dell'inutilità di quello che stiamo facendo in relazione a quello che ci eravamo proposti di ottenere si estende oltre la singola azione, oltre la singola esperienza: diventa il senso dell'inutilità dell'esistenza. Diventa cinismo esistenziale, pulsione auto-distruttiva. Si attua cioè una inconscia trasposizione dalla dimensione del fare (e dall'avere) all'essere: il mio agire non ha gli effetti che speravo - ma anzi contrari - ergo la mia esistenza è un fallimento; il mio agire è inutile, ergo la mia esistenza è inutile.
Il cinismo esistenziale, poi, diventa cinismo sociale in un batter d'occhio: disprezziamo gli altri, e i loro sforzi, tanto quanto disprezziamo noi stessi. Perché l'essere umano è altruista solo in quanto è egoista: l'amore e il rispetto che siamo disposti a concedere agli altri è riflesso dell'amore e del rispetto che concediamo a noi stessi. Non ci può essere rispetto per gli altri se non c'è rispetto per se stessi: noi conosciamo il mondo e ci rapportiamo a esso attraverso noi stessi, e la nostra visione del mondo si basa sulla visione che noi abbiamo di noi stessi. Odiare se stessi è odiare il mondo; percepire l'inutilità della propria vita è percepire l'inutilità della vita degli altri; sognare la propria auto-distruzione è sognare la distruzione del mondo. La chiave di lettura del male nel mondo è l'infelicità in ognuno di noi. Il male è solo l'effetto dell'agire dell'infelice nel mondo, che cerca di ridurre il maggior numero possibile di persone – in primo luogo ovviamente quelle che egli invidia - alla sua stessa condizione di infelicità.


Conclusione: Consigli per una Felice Vacanza

Il mio consiglio per godersi la vacanza è, in conclusione, quello di cercare di tenersi bene in testa la “mission” della vacanza stessa: di instaurare una quotidianità alternativa e più rilassante rispetto a quella del resto dell'anno. Se si vuole godere l'esperienza della vacanza nella sua pienezza, bisogna rifuggire dal condizionamento sociale che ci spinge a ricercare il “thrill” e lo shock, e cioè a snaturare l'esperienza della vacanza in una serie frammentata di alti e bassi (occorre invece cercare nella vacanza un “punto medio alternativo”), magari solo per il falso piacere di poterli raccontare durante la ricreazione o le pause-caffè. Questo non è vivere la vacanza nella sua pienezza, ma sopravviverla nella sua vuotezza. E la vacanza è qualcosa che si fa per sé e per i propri familiari, non per i colleghi di scuola o di lavoro.
Quindi abituiamoci a non inorridire – in vacanza come nella vita - di fronte a parole come “quotidianità” e “routine”, e impariamo piuttosto ad apprezzarle per tutto quello che di bello hanno da offrire. In primo luogo, il comfort dell'“ancoraggio” a un mondo di attività ed esperienze che ci sono familiari, ciò che allevia lo stress e produce serenità. In secondo luogo, il riflesso che questa serenità produce nel rapporto con i familiari e con tutti gli altri, e per la qualità della vacanza nostra e loro. In terzo luogo, imparando ad apprezzare la quotidianità, si evita di inseguire il nuovo per il solo gusto del nuovo, in una ricerca senza fine e sempre frustrata. Le “novità” - in vacanza come nella vita – hanno un proprio ruolo se servono ad arricchire la routine e la “normalità” della quotidianità; quando però diventano esse stesse il focus, allora la vacanza rischia di diventare una duplice fonte di stress: in se stessa e nel pentimento per aver buttato a mare l'unica sostanziale alternativa di riposo e di ricreazione che l'anno ci ha regalato.
La vacanza, se concepita nel modo giusto, può diventare una palestra per affrontare la vita con il giusto spirito. Basta lasciarla fare quello per cui è nata.

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