giovedì 4 agosto 2016

I BAMBINI DIMENTICATI NELL'AUTO D'ESTATE

"Ricordati di me o ti ricorderai per sempre di me"
A proposito del fenomeno dei bambini dimenticati dai genitori in auto sotto il solleone, l'opinione pubblica appare divisa fra chi esprime piena solidarietà con il genitore autore della dimenticanza, affermando che “può accadere a chiunque” e spostando la responsabilità sui ritmi frenetici della vita moderna, e coloro che invece reclamano almeno un accertamento delle responsabilità. Ecco la mia riflessione per punti.


Può Accadere a Tutti”

Secondo la giornalista del fatto Manuela Campitelli, coloro che criticano le madri o i padri che dimenticano i propri bambini nel seggiolone sul sedile posteriore dell'auto, causandone la morte, esorcizzerebbero in questo modo l'intima e per loro inconfessabile consapevolezza che fatti del genere possono accadere a qualunque genitore, anche a sé. Ci sarebbe quindi all'opera un fenomeno di proiezione al contrario: non proiettare sugli altri i propri difetti, ma proiettare su di sé l'immagine inversa di questi genitori “snaturati”, prendendone le distanze e rincuorandosi nell'autocertificazione di essere qualcosa di diverso e opposto.
Volendo controbattere sullo stesso terreno, però, si potrebbe così dire che chi “assolve” i genitori distratti mira in realtà a fornirsi una giustificazione preventiva nell' eventualità che questo possa succedere a loro. Quindi qui semmai, e non là, è presente il fenomeno descritto dalla Campitelli.


“Dura Lex, sed Lex”

Dura lex, sed lex”, direbbero i latini. Molti di questi “assolutori preventivi” invocano la sostanziale impunità giuridica dei genitori “distratti” con il pretesto che essi “soffriranno per tutta la vita per quello che hanno fatto, con il dolore e il senso di colpa, e quindi non dobbiamo aggiungere altre pene”, spingendosi fino a dire che non è necessario un processo, che non vanno giudicati davanti a un tribunale. “Queste cose potrebbero capitare a tutti. Chi siamo noi per giudicare?” Quindi: costoro accusano gli altri di giudicare troppo frettolosamente, mentre essi addirittura non vorrebbero nemmeno il giudizio.
Ma l'affermazione che i genitori “distratti” pagheranno per tutta la vita con il rimorso parte da una premessa arbitraria, e cioè il fatto che non ci sia intenzionalità. C'è un vizio di circolarità: il genitore è già affranto di suo, e quindi non va giudicato perché ciò aggiungerebbe alla sua pena, dicono gli “assolutori” preventivi. Ma un processo serve proprio a stabilire l'eventuale volontarietà dell'atto, nel cui caso non esisterebbe alcun “dolore” o “pena” che il genitore dovrebbe sostenere di fronte alla propria coscienza: se uno commette volontariamente un omicidio così crudele, non può avere alcuna coscienza a cui rispondere.
Quindi, elementarmente: e se il padre o la madre (o entrambi) avessero inscenato la dimenticanza per liberarsi del figlio o della figlia? Gli assolutori non leggono le pagine di cronaca dei giornali? Non conoscono il termine “infanticidio”? Non hanno seguito, per esempio, il caso della Franzoni? Ma anche se non vi fosse intenzionalità, che razza di mentalità sarebbe quella che pretende di sostituire alla giustizia (o addirittura alle procedure del suo accertamento) la compassione? Forse queste persone hanno in mente una “città di Dio” dove si è sempre certi della purezza delle anime; o forse il loro ideale di convivenza è quello di un regno dell'opinione pubblica, dove questa si sostituisce al vecchio re nel dispensare atti di clemenza del tutto arbitrari rispetto al codice delle leggi? La legge è legge e il suo cammino va seguito sempre. Eventuali elementi possono essere introdotti successivamente come attenuanti, ma non possono essere addotti preventivamente addirittura per evocare l'inopportunità di un processo.
“Dimenticare” un bambino in un'auto trasformata in forno dal sole cocente implica quantomeno un'imputazione per omicidio colposo. L'“amnesia associativa” (di cui parlerò sotto) può valere al limite come attenuante. Ammesso che questa patologia abbia un qualunque fondamento scientifico o sia applicabile alla tipologia dei fatti in questione, essa non è paragonabile ad altre condizioni patologiche della memoria (come l'Alzheimer, o amnesie che accompagnano eventi traumatici) che risultano suffragate da elementi eziologici più sostanziali.


Il Passato non è Servito a Niente?

Che ne è dunque dell'esempio che ci deriva da episodi analoghi precedenti? Non hanno essi smosso nulla nella coscienza dei “dissociati amnestici” che li hanno seguiti? Non hanno costoro provato quel moto di orrore che normalmente spinge uno a prendere precauzioni per dire: “Mai a me!”, e a instillarsi l'istinto nevrotico (in senso positivo) che capita in casi simili, come quando si controlla mille volte di aver chiuso la caldaia prima di partire per le vacanze? Possibile che i precedenti drammatici, e l'istinto di immedesimazione con quei genitori, non li abbia spinti ad adottare la precauzione di guardare ogni volta nel sedile posteriore, anche se ritengono impossibile che ci sia il bambino? Certo per gli assolutori preventivi ogni domanda non ha senso. Il buonismo idiota del “Tutti sono buoni, tutto è bello, tutto va bene” non lascia che domande importune disturbino la loro Weltanschauung da chiacchieroni irresponsabili con l'anello al naso e la pancia piena, salvo poi crocifiggere una maestra, impegnata con 25 alunni, per essersi dimenticata in un museo con aria condizionata il loro, di figlio. 
A chiunque sono capitate quelle situazioni in cui il “cuore ti sprofonda nel petto” per aver dimenticato qualcosa di capitale, o commesso imperdonabili errori ecc. E' tutto profondamente umano. Ma non è detto che uno debba sempre esperire sulla propria pelle un accadimento e impararne la lezione a proprie spese. Esiste anche quello che Albert Bandura chiama l'“apprendimento osservativo”, e la “conseguenza vicaria”: semplicemente, è possibile osservare in altri le conseguenze di atti sciagurati, apprendere da loro la lezione e adottare gli opportuni accorgimenti affinché ciò che è accaduto a loro non accada anche a noi (v. l'esperimento della “Bobo doll”).


“Dimmi Cosa fai, Ti Dirò che Malattia Hai”

Gli psichiatri sono maestri nell'inventarsi patologie che non esistono. Non c'è nulla di più semplice che sezionare lo spettro dei comportamenti umani alla ricerca di qualcosa che non è al 100% funzionale allo stile di vita moderno, e bollarlo come “malattia”. Cosa spinge a questo? Semplice: per gli psicologi e psichiatri, l'allargare la platea dei potenziali clienti; per l'industria farmaceutica, il vendere medicine. Prendiamo l'ADHD (Attention Deficit and Hyperactivity Disorder, “Disturbo da Deficit dell'Attenzione e Iperattività"), una “malattia” che ha imperversato nelle scuole in questi ultimi anni. E' lo stesso suo inventore, Leon Eisenberg, a dire: “L'ADHD è l'emblema della malattia fabbricata. [...]” (Der Spiegel, 2012).
Cosa dobbiamo pensare dell'“amnesia dissociativa”, se non la stessa cosa? Ecco un'autorevole definizione del disturbo, divisa in parti per esigenze di commento:

L’amnesia dissociativa è un disturbo dissociativo la cui manifestazione principale consiste in uno o più episodi di incapacità a ricordare dati personali importanti, di solito di natura traumatica o stressogena, che risulta troppo estesa per essere spiegata come banale tendenza a dimenticare.”
“Troppo estesa” per essere confusa come una semplice dimenticanza: quindi si vede come la “A.D.” non sia in realtà altro che un'amplificazione di una cosa affatto normale come il vuoto di memoria.
Si dice poi che l'incapacità di ricordare avrebbe una “natura traumatica o stressogena”: in cosa allora differisce dallo stress? Siamo evidentemente di fronte al sintomo (dello stress) trasformato in malattia a sé stante. Un po' come se considerassimo l'aumento di temperatura corporea come qualcosa di separato dalla febbre che la causa.

I sintomi causano disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti e non si presentano esclusivamente nel corso di un disturbo dissociativo dell’identità, disturbo post-traumatico da stress, disturbo acuto da stress o disturbo di somatizzazione, e non sono dovuti all’effetto fisiologico diretto di una sostanza (per es. abuso di droga, o di un medicinale), oppure a una condizione medica generale o neurologica (per es. disturbo amnestico dovuto a trauma cranico). Gli individui con amnesia dissociativa sono spesso inconsapevoli (o solo parzialmente consapevoli) dei loro problemi di memoria.”
Quindi, si legge sopra, l'A.D non è sempre associato al disturbo dissociativo dell'identità (e perché allora si continua parlare di amnesia “dissociativa”?), o a stress da trauma, e non va confuso con l'amnesia da abuso di sostanze o con traumi fisici al capo.
A nessuno può sfuggire, sulla scorta della definizione sopra data, la natura rarefatta di questa “malattia”, soprattutto rispetto ad altre ben codificate dalla scienza medico-psichiatrica. Cos'è veramente questa “amnesia dissociativa” e in cosa differisce dal normale vuoto di memoria che può capitare in coda a situazioni di stress, di trauma, di abuso di sostanze o malattia di altro genere? Non è dato di sapere. La verità è che più si cerca di definire una cosa che non esiste, più viene alla luce il suo carattere intellettualmente fraudolento.


La Società dell'“o Faccio Figli o Sono un Fallito”

Se togliamo l'intenzionalità (sempre possibile), resta il menefreghismo: dimenticarsi un bambino nell'auto-forno non è ascrivibile a una causa psichiatrica, ma di mentalità sociale. Manca, nella nostra società, il senso della responsabilità. Esistono solo diritti e non doveri: si pensa di aver diritto a un figlio, e che quindi occorra “prenderselo” anche se le proprie condizioni sociali (o di altro tipo) consiglierebbero il contrario. Siamo in una società dove le cose più importanti si riducono a “contorno” e sembrano esistere solo per “coronare” qualcosa: il matrimonio si fa per coronare la relazione, il figlio si fa per coronare il matrimonio ecc. Così, si vuole che tutti i tasselli vadano a posto, come se la propria vita fosse una checklist da soddisfare: “lavoratrice”: fatto!; “moglie”: fatto!; “madre”: fatto! Ecc. Ma va da sé che i punti della checklist sono imposti dalla società, una società che si orienta sempre più sulla prestazione e che, perciò, lascia sul campo molti “irrealizzati”, molti “sconfitti dalla vita”.
Quindi, anche a voler concedere la veridicità medica dall'amnesia dissociativa, la responsabilità individuale rimarrebbe: solo, si sposterebbe dall'atto a ciò che lo ha preparato, cioè una concezione distorta del proprio ruolo, una accondiscendenza acritica a un modello di vita imposto dalla società e che per molti è insostenibile e irrealizzabile.


Quando un Figlio è Solo una Cosa tra le Cose

Se il genitore amnestico-dissociato avesse avuto sul sedile posteriore, in luogo di una creatura umana, un valigione con dieci milioni di euro, se lo sarebbe dimenticato? Naturalmente no. Ma non tanto per avidità o per difetti nella scala dei valori personali, quanto perché in una società fondata sul profitto, ciò che è raro vale di più di ciò che è routine, normalità. E cosa c'è di più normale e triviale che prendersi cura del proprio figlio, “merce” fin troppo facile ad aversi, facendo per lui le stesse medesime cose giorno dopo giorno dopo giorno? Ma il valigione con i milioni dentro: quella è una benedizione, un miracolo che rompe questa quotidianità!; è la “novità”, il divino che irrompe nell'alienante tran tran: come sarebbe possibile dimenticarsene? Valore economico e valore umano si contrappongono, e il risultato è la reificazione, la scomparsa del fattore umano: siamo pronti a dimenticarci di un figlio come lo saremmo per un qualsiasi oggetto di uso quotidiano. Il nostro figlio è come l'aria che respiriamo: troppo “disponibile” e reperibile per avere reale valore. La sua “quotidianità” implica, paradossalmente, che prendiamo le distanze da lui come persona nella misura in cui ce ne prendiamo cura. Crediamo di amarlo solo perché ce ne prendiamo cura, ma in realtà egli è diventato per noi una cosa tra le cose.


La Società Contemporanea: Vigliaccheria, Irresponsabilità, Consumismo

La società occidentale, dopo almeno 70 anni di consumismo spinto, è una società molle, incapace di prendersi responsabilità e di reagire alle minacce e ai pericoli. E' un nuovo stadio - l'ultimo - della décadence occidentale profetizzata da più parti: la barbarie che la società occidentale rivolge, finalmente, a se stessa.
Le tracce di questa decadenza sono più e più manifeste, e sono quelle di una società che si illude di risolvere tutto nei consumi e con i consumi, che prende la pillola contro il male di vivere e compra “Imagine” da Itunes contro gli attacchi terroristici; di una società che si crede nel giusto solo perché confonde la bontà con un buonismo velleitario e melenso che non vede responsabilità da nessuna parte, ed è sempre pronta a cedere al perdonismo indiscriminato che giustifica l'ingiustificabile e scagiona a suon di malattie inventate. E' anche, quindi, una società che rifiuta il concetto stesso di responsabilità e ha perciò smesso di cercarla, forse per la paura di vedere se stessa riflessa in uno specchio.
In una situazione come questa, anche un bambino cotto al forno nel rovente sole agostano ha poche speranze di ottenere, quantomeno, giustizia.

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