martedì 26 luglio 2016

L'"IPOCRISIA": CIO' CHE E' E CIO' CHE NON E'

"Giano", di R. Sommaruga
"Giano" (1967), di R. Sommaruga
(Difficoltà: 3,8/5)

Se c'è una cosa che odio (o meglio, che disapprovo) è l'utilizzo che si fa del concetto di “ipocrisia”. Il concetto di “ipocrisia” non è, a dispetto del suo frequente uso, qualcosa di facile da afferrare; ergo, esso viene spesso usato a sproposito. La sua difficoltà deriva dal fatto che si riferisce a un atteggiamento e non a un episodio preciso e concreto, come accade nel caso del concetto di “bugia” o “menzogna”: essendo più "aereo", la ragione fa più fatica ad "afferrarlo" (appunto). 


“Ipocrisia” e “Menzogna”: la Differenza

Uno degli utilizzi impropri del concetto di ipocrisia è quello che tende a confonderlo appunto con il concetto di “bugia” o “menzogna”. L'ipocrisia, che è un atteggiamento, deve pur apparire in forma concreta, deve tradursi in parole e gesti. Ne consegue che un'ipocrita è sempre anche un bugiardo. Ma il bugiardo non sempre è ipocrita. Ciò è particolarmente evidente nelle menzogne che servono a uno scopo giusto, o a non ferire una persona con parole che, pur corrispondendo a verità, non recherebbero nessun vantaggio alla verità. Si pensi a quando si dice a una ragazza che è bella, anche quando non lo pensiamo. E' questa ipocrisia? No: lo sarebbe se all'affermazione facessimo seguire un atteggiamento, espresso nella gestualità del corteggiamento; ma stando le cose così, noi ci siamo limitati a proferire un giudizio, ad esprimere una frase, quindi tutto rimane nei confini della (misericordiosa) bugia. Il punto è che il dire la verità servirebbe, in questo caso, solo a ferire la persona, senza per questo servire la causa della verità stessa, la quale non otterrebbe nulla dalla rivendicazione della “bruttezza” di quella ragazza.
Così come esistono occasioni in cui mentire è non solo lecito ma imprescindibile, altrettanto esistono forme socialmente accettabili di ipocrisia: si pensi alla “necessità” di mostrare un viso abbattuto al funerale di uno sconosciuto.


L'"Ipocrisia" Può Essere Solo il Tentativo – Fallito – di Essere una Persona Migliore

Un altro utilizzo improprio del termine "ipocrisia" rivela una situazione più subdola e indecifrabile. Ciò riporta alle intenzioni che sottendono l'ipocrisia (o ciò che pensiamo lo sia). L'atteggiamento “ipocrita” rivela infatti, in molti casi (e anzi, forse nella stragrande maggioranza di essi), solo il fallimento del tentativo (o dei tentativi) di una persona di essere migliore. Si pensi al caso di un uomo che dice alla moglie di amarla quando invece continua, in segreto, ad andare con un'altra donna. E' chiaro che – come abbiamo ormai chiarito - un comportamento di tal genere configura molto di più che una semplice “menzogna”: la menzogna sarebbe, nella fattispecie, ogni atto o parola utile a mascherare il comportamento adulterino dell'uomo (per esempio, il fatto che ogni volta dica che esce per una riunione di lavoro): epifenomeno e strumento.
Ma – e qui è il punto – cosa diremmo se l'uomo fosse intimamente lacerato, cercasse di compensare con rapporti extra-matrimoniali vacui e insoddisfacenti il vuoto creato da una relazione – quella con la moglie – di cui sente ancora un forte bisogno e di cui vorrebbe riaccendere la fiamma, e a cui non può e non vuole mettere la parola "fine"? Sarebbe questa effettivamente “ipocrisia”? Nel senso stretto del termine sì: l'uomo simula un sentimento che non prova; ma, rispetto alle intenzioni, no: l'uomo ha dei problemi, la relazione non funziona, e l'uomo si sforza di darle un senso inventandosi un sentimento nei confronti della consorte e rigettando l'evidenza che esso è in realtà estinto da tempo: egli inganna prima se stesso che la moglie. E' chiaro che definire un atteggiamento come questo “ipocrita” significa mettere le lenti della zitella da fotoromanzo e non quelle dello psicologo, dell'uomo di mondo o della persona capace di guardare più a fondo negli atteggiamenti e nella complessità della natura umana. Diverso da questi casi sarebbe naturalmente quello di chi invece, per esempio, si fosse sposato per interesse e non volesse rinunciare a una vita sessuale e sentimentale soddisfacente al di fuori di un matrimonio che riveste per lui un semplice significato economico: in questo caso la simulazione del sentimento sarebbe funzionale a un'intenzionalità meschina, a un inganno perpetrato a esclusivo danno della consorte. Questo caso - et similia - restituisce il vero significato della parola, contenuto nella sua etimologia: dal greco Ypòkrisis (= "rappresentazione", "il porgere di un attore"). 
Ciò che si è potuto dire per il marito “tormentato” si può dire per una certa figura di playboy (o forse per tutti i playboy): il suo sforzo di approdare a una relazione stabile potrebbe essere scambiato per “ipocrisia” ogni qual volta egli cada nella tentazione di un nuovo e diverso rapporto dopo aver giurato amore eterno. A dispetto delle apparenze e della fama, quella del playboy è una vita miserabile.


Conclusione

Quella che troppo spesso si chiama “ipocrisia” rappresenta solo il fallimento del tentativo da parte di una persona di migliorarsi, di diventare qualcosa di diverso e di meglio. E' esercizio, sforzo – ma anche "ricerca" (si veda lo “Streben” del Faust) – di miglioramento: e dopotutto, come si fa a diventare qualcosa se non ci si esercita, se non lo si "interpreta" in quel confusionario teatro che chiamiamo "esistenza", nel quale ognuno è alla sempiterna ricerca di se stesso?  

Nessun commento:

Posta un commento