mercoledì 6 luglio 2016

L'ARTE DI CHRISTO: IL TALENTO DEL CAPITALE

Le "floating piers" sul Lago d'Iseo
(Difficoltà: 4,5)

L'arte di Christo (una specie di Land Art) è un'arte-evento. Da una parte, essa sembrerebbe esprimere la caducità del prodotto artistico, che s'inscrive pur sempre nel mondo e quindi soggiace al carattere perituro dell'esistente, tanto più se questo mondo è un frenetico succedersi di mode in una società iper-consumistica. L'eternità dell'opera d'arte è così un'illusione: il massimo a cui l'opera d'arte possa aspirare è un'installazione nel museo, a testimoniare un periodo di vitalità passata. Ma – qui il punto – come la vita – per quanto effervescente – lascia il posto alla morte, così la vitalità culturale dell'opera d'arte lascia il posto al magone della nostalgia storicistica. La presenza dell'oggetto d'arte nel museo lo costituisce a oggetto di una siffatta contemplazione, e ciò proprio nel momento in cui ne sancisce la solenne consacrazione di fronte allo spirito della Storia: se il cesso di Duchamp non stesse in un museo, esso apparirebbe come un qualunque pisciatoio, ma almeno manterrebbe la sua vitalità – seppur triviale - di oggetto d'uso quotidiano.
La funzione salvifica dell'arte non è per sempre; il trapasso nel suo contrario è pre-programmato, aldilà dell'intenzionalità dell'artista, che nulla sembra potere: “La provocazione di Duchamp non solo smaschera come istituzione sospetta il mercato dell'arte, dove la firma vale più della qualità dell'opera su cui è apposta, ma mette anche radicalmente in discussione il principio dell'arte nella società borghese, secondo cui l'individuo è il creatore dell'opera. I ready-made di Duchamp non sono opere d'arte, ma manifestazioni. […] E' ovvio che questo tipo di provocazione non può venir ripetuta all'infinito. […] Una volta che lo scolabottiglie firmato è stato accettato come oggetto che merita spazio in un museo, la provocazione cade nel vuoto, si volge nel proprio contrario.” (P. Buerger, “Teoria dell'Avanguardia”, Bollati Boringhieri, 1990, p. 62)
E' così che l'arte di Christo sceglie di saltare il passaggio iniziale: la sua arte è sì evento, ma evento immediatamente inscritto nel sistema, dal quale trae la propria ragion d'essere. Questo sistema è la spettacolarizzazione di tutte le manifestazioni di vita, e così anche dell'evento creativo, che diventa così irrimediabilmente “boutade” o, se si preferisce, “pagliacciata”, non meno delle prestazioni dei saltimbanco tatuati che popolano i talent o i programmi-spazzatura dei Bonolis e delle De Filippi.
L'arte di Christo è, per un importante aspetto, l'esatto contrario di quella di un Wharol, sia dal punto di vista della produzione che da quello della fruizione: come produttore, nessuno può avere i suoi 15 minuti di notorietà se l'opera d'arte che dovrebbe assicurarglieli è un'installazione da un milione di euro. E, dal punto di vista della fruizione: chi può sperare di accedere a qualsivoglia notorietà confondendosi tra migliaia di persone in una promenade sulle “floating piers”?
L'arte di Christo nasce dal capitale, e non si perde nel pianto greco della sua caducità, ma anzi se ne bea, perché il messaggio che ne traspare è: “Vedete: costruisco la mia opera d'arte, spendendo milioni, per poi disinstallarla e farla sparire senza che ne rimanga l'ombra.” E' chiaro che una simile opera d'arte, nella sua costosa futilità, è esclusiva ed elitaria al massimo grado, e ciò a dispetto del fatto che essa manipoli un territorio e si presi così all'“utilizzo” dei comuni cittadini che quel territorio popolano: essa è uno spreco che si consuma nello spazio e nel tempo di un evento; è il trionfo dell'immagine, e del transeunte che ormai abbiamo imparato essergli proprio. La volgarità dell'ingombro con cui assale l'attenzione dei passanti non è altra cosa dalla violenza con cui lo Spettacolo occupa la vita delle persone, che queste lo vogliano o meno. Non si scappa dalle opere di Christo come non si scappa dall'ultima breaking news o dall'ultimo video virale: la mappatura sistematica della nostra esistenza quotidiana non lascia aree inesplorate, colonizzando anche possibili mete di un eremitaggio salvifico.
L'arte di Christo può essere al massimo materia da pro loco, ma dal punto di vista del valore culturale e umano dell'esperienza artistica, essa è l'emblema di un'arte che non ha più nulla da dire: nemmeno sulla sua morte.
Ma quel nulla che ha da dire, lo dice urlando.

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