domenica 11 gennaio 2015

QUAL E' IL PECCATO MORTALE DELL'ITALIA CONTEMPORANEA? UN CONFRONTO CON LE POSIZIONI DI DANTE E DELLA CHIESA

(Difficoltà: 3.6/5)

Dante e Virgilio incontrano Lucifero
L'insegnamento teologico cattolico teorizza la superbia come il peccato maggiore dell'umanità: dopotutto, Lucifero-Satana, origine e simbolo di ogni male, fu l'“angelo ribelle” contro l'autorità di Dio e l'ordine universale da questi costituito. La posizione di Dante, come vedremo subito, è diversa.

Come è noto, nel I Canto dell'Inferno Dante pesca dal bestiario medievale tre allegorie di altrettanti peccati: la lonza, che per molti dantisti sembra rappresentare la lussuria; il leone, simbolo della violenza; la lupa, simbolo dell'“avarizia” (da intendere più genericamente come “cupidigia”).
Dante non si interessa della denuncia astratta dei peccati, ma li cala sempre, concretamente, nella realtà storica del suo tempo: nella fattispecie una realtà di disgregazione sociale e politica per effetto delle lotte tra fazioni all'interno dei comuni, a cavallo tra '200 e '300. Ciò che è più importante osservare, tuttavia, è che fra i tre peccati capitali che Dante ritiene i maggiori, la corona del più grave spetta alla cupidigia. Infatti, della lonza egli si limita a dire che gli impedisce il salire al colle, cioè alla salvezza (v. 35: “[...] 'mpedia tanto il mio cammino”); del leone, l'elemento preponderante è la paura che gli causa (vv. 44-45: “Ma non sì che paura non mi desse/la vista...”); la lupa, al contrario, non solo gli fa perdere la speranza della salita (v. 54: “[…] perdei la speranza de l'altezza”), ma lo fa precipitare nella selva (il peccato) da cui era appena uscito (v. 60: “mi ripigneva là dove 'l sol tace.”)

Perchè l'Alighieri apporta un così significativo cambiamento alla gerarchizzazione canonica dei peccati? La risposta è già in parte stata data: ciò che differenzia la Commedia dalle tante esperienze letterarie inscritte nel genere del “viaggio allegorico” a partire dal '200 è la concretezza calata nel tempo: Dante viaggia nell'aldilà con il proprio corpo, e il suo resoconto esperenziale è attuale e non frutto di una “visione”, di un'avventura extra-corporea (cfr. C. Segre, L'“itinerarium animae' nel Duecento e Dante, in “Letture classensi”, Ravenna 1984). Proprio perchè è di un'esperienza “vigile” e non di un “rapimento mistico” che si parla, ne consegue che il possesso della coscienza che conforta tutta l'esperienza del viaggio dantesco, il continuo essere “presente a sé stesso”, gli permette continui e sistematici raffronti fra la realtà storico-sociale vissuta (soprattutto fiorentina, ovviamente) e ciò che egli vede e ascolta nell'aldilà. La scelta dell'atto di cupidigia come il più alto dei peccati che si possa commettere è quindi ricavato dalla constatazione della sua debordante presenza in una società comunale dominata dalle nuove classi degli arricchiti, di una borghesia intraprendente ma anche priva di scrupoli. Il Dante intellettuale-teologo è figlio dell'osservazione del suo tempo, e la Commedia è il testamento critico di una società in profondo cambiamento.


Cupidigia o Superbia: Qual è, quindi, il Peccato Più Grave?

Proprio sulla scorta della lezione civile di Dante, della dichiarazione di una supremazia dei fatti constatati sulla regola teologica, si può oggi spezzare una lancia a favore della teologia tradizionale: in Italia la superbia, e non la cupidigia, torna oggi a essere il peccato da cui guardarsi. Questo perchè oggi forse più di allora la superbia, con il correlato comportamentale necessario dell'arroganza in ogni sua forma, è il dato originario. La cupidigia, la sete di ricchezza, vedrebbe il suo potenziale di molto limitato senza la coscienza dell'impunità, senza la pretesa di essere superiori alle leggi e quindi agli altri. E quale miglior definizione della superbia se non una che ponga al centro il disprezzo per le regole in nome di una superiorità proclamata ad imperium da un singolo o da una specifica categoria sociale? Il concetto di “casta” e di “potere” non evocano forse la superbia più di quanto non evochino la cupidigia? E' pur vero che la politica italiana si è ultimamente popolata di ladri di galline, ma la differenza fra Andreotti e un Belsito o Bossi qualsiasi rimane chiara: qui c'è la volgarità cialtronesca e arraffona del villano accolto alla mensa del padrone, là c'è l'ambizione senza limiti del potere per il potere, che è vecchia quanto il mondo.
Si potrebbe discutere del fatto che la superbia debba ritenersi al primo posto fra i peccati indipendentemente dalle circostanze storiche, e quindi ontologicamente, nel qual caso il punto di vista di Dante sarebbe semplicemente da scartare come frutto di un errore di giudizio. Sta di fatto che, soprattutto in un'oligarchia all'insegna dell'impunità qual è l'italia degli ultimi 20-30 anni (per tacere di fasi precedenti), la superbia è il peccato mortale per eccellenza, la genesi di ogni male. Per una volta, la Chiesa ci ha visto meglio.

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