domenica 25 gennaio 2015

IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTANZA GIUSTIFICA L'EVASIONE FISCALE IN ITALIA?

(Difficoltà: 1,5/5)

La Dichiarazione d'Indipendenza americana

Il Parlamento italiano è attualmente, in virtù dell'arcinoto “Porcellum”, un parlamento di nominati: non li sceglie la gente, ma se li scelgono loro. Ciò sarebbe normale se l'Italia avesse scelto per sé un sistema elettorale proporzionale, ma non è questo il caso: il referendum del 1993 sancì il regime misto del Mattarellum. Quindi il Porcellum è incostituzionale – come per altro sancito dalla Corte costituzionale – e – ma qui la Corte ha preferito “lavarsi le mani” - così è il Parlamento che ne è scaturito. E non è che l'entrante "Italicum" cambierà di molto le cose.
Il punto è: se il Parlamento italiano non rappresenta la volontà popolare, è lecito pagare le tasse, in considerazione del fondamentale principio costituzionale-democratico del “no taxation without representation”? La risposta, anche se sofferta, è probabilmente: no; l'attuale stato di cose giustifica, in una certa misura e per rigore logico, l'evasione fiscale.


L'Esempio della Guerra d'Indipendenza Americana

Fino agli anni '60 del '700, le colonie dell'America settentrionale si sentivano sudditi della corona britannica, e il pensiero dell'indipendenza non toccava ancora le menti di politici e intellettuali. Successivamente, però, l'Inghilterra decise di far pagare in misura crescente alle colonie le spese del suo impero americano, che dopo la Guerra dei Sette Anni si estendeva dal Canada alla Florida. L'aumento dei dazi doganali (in particolare sullo zucchero) e di una tassa di bollo (lo “Stamp Act” del 1765) esacerbò gli animi dei coloni, che presero a boicottare le merci provenienti dalla madrepatria. Il principio secondo cui nessuna tassa poteva essere imposta senza l'approvazione di un'assemblea in cui i diritti dei tassati trovassero adeguata rappresentanza era già presente nella cultura democratica inglese, e ad esso si richiamarono i coloni. La Guerra d'Indipendenza che ne seguirà ebbe sempre al centro la vis emanata da questo principio essenziale.
Se una parte sociale non ha alcuna voce in capitolo nelle decisioni che lo riguardano, ne risulta una discriminazione politica che non ha nulla a che fare con un ordinamento democratico. Solo una mente democraticamente illetterata potrebbe negare questo. Oggi in Italia il problema riguarda il paese intero e la rappresentanza politica in quanto tale: chi decide per il popolo non è stato scelto dal popolo, ma nominato all'interno dei partiti. La classe politica in Parlamento è delegittimata perfino più di quanto possano dirne gli scandali, gli abusi e i peculati. Che decida, tra le altre cose, la politica fiscale - e quindi le lacrime e il sangue dei soliti noti - un gruppo di estranei e di clandestini, ripugna alla ragione più di qualsiasi altra cosa, tanto più in un periodo di crisi e con la grande evasione fiscale ai massimi livelli. Una riforma elettorale razionale seria serve oggi anche a non fornire alibi alla grande evasione fiscale, problema cronico e atavico che esiste da prima della legge di Calderoli.
In conclusione, ci si potrebbe spingere a dire che l'evasione fiscale è oggi in Italia finanche un dovere. E se non lo si dice è solo per carità di patria. Ammesso che ne esista ancora una.

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