domenica 19 ottobre 2014

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9979

(Difficoltà: 4/5)

L'UOVO DI COLOMBO: COME IL POTERE IN ITALIA
METTE A TACERE LA CRITICA


Travaglio e Burlando
Burlando: un uomo, un gerundio
Se c'è una cosa che mi fa incazzare è il richiamo alla buona educazione, e mi spiego. Non mi riferisco ovviamente al richiamo in quanto tale, che è doveroso per un bambino, ma ha già meno senso per un adulto, per il quale ciò che è fatto è fatto. Mi riferisco piuttosto alla forma di richiamo alla buona educazione e al “rispetto” che è illustrato dal rimprovero di Santoro a Travaglio nell'ultima puntata di “Servizio Pubblico”.
In questa puntata, Travaglio interrompe (ma solo perchè chiamato in causa, quindi sarebbe più lecito dire “interloquisce con”) un gonfiatissimo Presidente della Regione Liguria Burlando dicendo che questi nel proprio ruolo avrebbe fatto delle “porcate”. Da qui il rimbrotto di Santoro: “Questo è un luogo di discussione […]; non si insultano le persone” ecc. ecc. Non un testuale richiamo all'educazione, chiaramente, ma la sostanza di quello che voglio sottolineare è salva: da quando (e in quale dimensione parallela) dire la (documentabile) verità (su un fatto o una persona) è subordinabile al tono che si usa? In quale mondo alla rovescia la sostanza è secondaria rispetto alla forma? Da quando criteri come il garbo, il bon-ton, il savoir-faire decidono la pubblica accettabilità di quello che si dice a proposito di ciò che è, incontestuabilmente, vero? Come è possibile che un ladro, un politico corrotto o un pessimo governante possano apparire nella ragione al cospetto dell'opinione pubblica solo perchè l'avversario li critica con parole tanto poco convenzionali quanto lo sono (o dovrebbero esserlo) i comportamenti che quella critica vuole non dico sanzionare, ma semplicemente menzionare o qualificare? Da quando in qua la feccia non può dirsi tale perchè “non pare bello” o “non è educato”?
Nell'epoca del trionfo dell'immagine (ormai talmente compiuto da apparire una banalità) si diceva che “ciò che non si fa vedere non esiste”. Ebbene, nell'era dei talk show dobbiamo credere che “ciò di cui non si parla non esiste”. E il richiamo alla buona educazione è il sostituto naturale, in epoca di democrazia e di pace, della repressione armata delle voci discordi in ogni dittatura: chi può rimanere insensibile di fronte a un sedimento comportamentale così profondo, radicato e corrisposto come l'insieme delle regole che formano la “buona educazione”? V'è da credere che, certo a livello inconscio, le persone ritengano che la maleducazione possa essere più nociva alla sopravvivenza della comunità di quanto possa esserlo l'illegalità diffusa, la corruzione politica e imprenditoriale, l'infedeltà dei funzionari di Stato. Perchè? Perchè il senso della “buona educazione” precede nello sviluppo psichico quello dello Stato e della cosa pubblica, i quali si impongono, eventualmente, più tardi, in quanto richiedono maggiore astrattività: non la dimensione del comportamento interpersonale con gente che vediamo e incontriamo ogni giorno (educazione), ma le regole che governano la vita di una collettività che per il 99,99% sfugge alla nostra esperienza diretta. Ecco perchè il richiamo alla buona educazione è così potente nel rintuzzare ogni tentativo di scoprire o rimarcare le verità di interesse pubblico. Un “lei è un maleducato” serve al potere più del manganello per evadere ed eludere la responsabilità della risposta e del chiarimento pubblico. Chi, dalla massaia all'operaio al notaio, può rimproverare il potente per la sua mancata risposta, quando ci sono in gioco le tanto care “buone maniere” inculcateci nella felice età dell'infanzia da mamma, papà e parroco? 


Un piccolo test alla portata di tutti
 
Per chi avesse dubbi sul rapporto tra realtà e apparenza, tra sostanza e forma, tra verità e maniera, fra il coraggio del dire e l'etichetta, basta come sempre rapportare il tutto a una condizione concreta e personale e chiedersi: “Io preferirei un figlio che sia onesto ma maleducato o ladro e gentiluomo?” Conoscendo quello che l'Italia e la sua gente sono diventati, c'è da aver paura - e anzi da tremare di brividi antartici - per quella che potrebbe essere la risposta.

La prossima volta, fateci caso.


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