martedì 19 marzo 2013

IL CONSUMISMO CHE SI FA VITA: IL CASO DI APPLE

(Difficoltà: 4,5/5)

"Una volta tanto, una normale mela!"
La prima fase della dominazione dell'economia sulla vita sociale aveva prodotto una evidente degradazione dall'essere all'avere. [...] La fase presente […] conduce a uno slittamento  generalizzato dall'avere all'apparire”.  
(Debord, Società dello Spettacolo, §17)

Qual è il vero segreto del fenomeno Apple? La qualità dei prodotti? Il design? La funzionalità? No, non è nulla di tutto ciò. La pubblicità, il suo giocare con l'immaginario del potenziale acquirente, e nient'altro, è il segreto del successo di Apple. Il marchio Apple si è insinuato, nel corso degli anni, in innumerevoli film e show televisivi, in quello che viene definito in gergo “product placement”. Secondo questo articolo (link), nel solo 2011 i prodotti Apple sono apparsi in qualcosa come 891 show televisivi americani e nel 40% dei film campioni d'incasso. La presenza di Apple nei film, nelle situation comedy e negli show televisivi è di una costanza quasi opprimente.


Messaggi Subliminali

Comprensibilmente, Apple non parla volentieri di questa opera di colonizzazione dell'immaginario televisivo e cinematografico. La pubblicità surrettizia di queste "apparizioni" rispecchia appieno la natura del messaggio pubblicitario negli spot ufficiali. E' chiaro che in entrambi i casi si gioca sulla soglia del subliminale, del mostrato ma non detto. Quel che conta, in definitiva, è semplicemente l'apparire del logo, la sua riconoscibilità, l'instaurazione di una pervasiva sottocultura del consumo, non certo l'elencazione delle caratteristiche tecniche e funzionali del prodotto. Perchè quindi proprio Apple dovrebbe allora confessare la sua strategia?
Nella sua recensione del film 88 Minuti, dove il protagonista Al Pacino, uno psichiatra professore universitario, deve scoprire l'autore di molteplici efferati omicidi, il blogger-critico cinematografico Scott Telek (sito: Cinema de merde) ha il merito di notare un particolare oltremodo illustrativo dell'inusitata aggressività di questa strategia. Si esamini questo fotogramma tratto dal film: 

Scena da "88 Minuti"


E' parte di una scena dove è possibile constatare che praticamente tutti gli studenti presenti nell'aula dove Al Pacino sta tenendo una lezione hanno dei computer Apple. L'unica a preferire un computer Dell (al tempo il maggior competitor di Apple per i computer sul mercato americano) è la ragazza in primo piano, che non a caso si scoprirà alla fine essere il killer in questione!


Pubblicità Vecchia e Nuova

Vi fu un tempo in cui la pubblicità consisteva nell'asciutta illustrazione delle qualità e dei benefici materiali di un dato prodotto, come nell'esempio a lato.
 L'elemento materiale e descrittivo non era ancora stato soppiantato da quello evocativo. Cosa si intende “evocare”, nella pubblicità moderna? Più realisticamente, qualità che l'oggetto non possiede, o che vengono esagerate; più “letterariamente”, ideali di libertà, di espressività artistica, di standing sociale e quant'altro, che il possesso dell'oggetto garantirebbe. Apple è specialista nella coltivazione dell'effimero a nutrimento della sua popolosa “community” di consumatori.
Ecco il confronto fra due prodotti della stessa categoria merceologica, ma appartenenti a ere diverse:

Una vecchia pubblicità di un giradischi


La pubblicità dell'Ipod


La pubblicità a sinistra si prodiga nell'elencazione delle caratteristiche tecniche, reali e tangibili del prodotto. Nulla di tutto questo in quella a destra, che punta tutto sull'evocazione di un indefinito spirito "trendy".  
Oggi, l'oggetto in sè è quasi inessenziale per la campagna pubblicitaria che lo riguarda, al punto infatti che a volte non vi appare nemmeno o vi appare solo alla fine o quasi incidentalmente (tipicamente nella pubblicità dei profumi: qui un esempio). La pubblicità diventa allora un discorso con se stessa: è una pubblicità che si riflette sull'oggetto ma non lo riflette. L'oggetto viene trattato quasi come un'appendice materiale che disturba lo slancio onirico, il trasporto estatico del consumare. L'oggetto potrebbe anche non apparire, nello spot: le sue caratteristiche materiali (se sia più buono degli altri, o più comodo, o più salutare ecc.) interessano sempre meno. E' il trionfo della "spiritualità" della merce, il suo ascetismo blasfemo: l'apparenza vuota di contenuto, la parodia della metempsicosi come processo di emancipazione dello spirito dall'oppressione della materia.
Quando, agli albori della società consumistica, si diceva che la pubblicità è “l'anima del commercio”, ciò rimandava comunque all'oggetto che si voleva piazzare sul mercato: la pubblicità serve per “vendere” l'oggetto, è solo un mezzo per uno scopo che ha al centro l'oggetto e il ritorno economico. Oggi quest'anima si è separata dal corpo e vive una vita propria: la pubblicità è l'oggetto. La creazione di uno status, di una cultura, di un trend si vogliono il vero scopo e non può meravigliare allora che molti dei protagonisti dei fenomeni consumistici più dirompenti siano anche quelli che vengono definiti “guru”, e la loro opera “missione”. Steve Jobs è uno di questi.


La Spiritualità della Merce è solo un'Illusione
 
Ma è solo questione di tempo prima che il cielo precipiti sui destini dell'oggetto di consumo, trascinando alla rovina una cultura che si sa già all'inizio con i giorni contati. Un discorso culturale che abbia come base la merce, infatti, si muove in perfetta sintonia con le vicissitudini del conto economico e dei capricci del mercato globalizzato. L'impalcatura cade nel momento in cui appare chiaro che tutto si fonda sul denaro. La spiritualizzazione della merce in forma di una cultura dell'appartenenza, fatta di concetti, di esperienze condivise, di un comune sentire e di slanci fideistici, si dissolve allora lasciando sul terreno i cadaveri di un'umanità delusa. All'improvviso, è chiaro a tutti che si trattava solo di un'illusione. Credendo di consumare liberamente l'oggetto, quest'Umanità consuma se stessa, nel momento in cui ha scelto di fare di questo oggetto parte della propria vita e dei propri ideali, nel momento in cui lo sceglie come obiettivo di un investimento ideale, spirituale e emotivo. E ciò avviene a ogni nuovo instaurarsi di una moda, di un trend, di un prodotto "in": ognuno di questi reca con sè un'eredità di morte che mette l'invididuo di fronte alla caducità della sua esistenza e alla futilità delle sue passioni.
Non lo si percepisce, perchè la società dei consumi opera sempre sotto anestesia, ma la verità è che con il ciclico perire delle merce, con la rottura insanabile del vincolo emotivo che ci legava a essa, viene meno una piccola parte del nostro essere, che si espone sempre più indifeso, innecessariamente, al sentimento della caducità e della morte. E con sempre meno entusiasmo si seguiranno nuovi percorsi di fede, che condurranno a nuovi livelli di cinismo e di anestesia spirituale, a nuove tappe di abbruttimento consumistico.