lunedì 9 dicembre 2013

LA "SPECIALIZZAZIONE" DEL LINGUAGGIO: IL VALORE AGGIUNTO DEL NULLA

(Difficoltà: 2,5/5)

Un Americano a Roma
L'utilizzo dell'inglese in vari settori specialistici della conoscenza è in parte una necessità, in parte una comodità. Per scienze nate o evolutesi in ambienti anglo-sassoni, la ricerca di una traduzione dei termini non è sempre semplice o appropriata. Per tutti gli altri casi, però, l'uso dell'inglese nelle professioni (e nella politica) svolte una sottile ma importante funzione di camuffamento.
Colpiscono quei casi in cui l'inglese viene impiegato per qualcosa per cui si potrebbe benissimo usare l'italiano, o quando addirittura l'espressione non ha una reale collocazione nel preciso bacino anglofono da cui si attinge, cioè quando non esiste o non viene usata nella forma o nel senso originario. Spesso, l'esterofilia nasconde pigrizia o vanità. In larga parte, serve però per creare l'artificio di una complessità che non esiste, nell'intento di giustificare le alte parcelle dei professionisti o specialisti.
Ma non è affatto questione di questa o quella lingua straniera. Per noi italiani, la lingua in cui questo artifizio si è consolidato con gli esiti più parossistici è pur sempre, ovviamente, la nostra: l'italiano. Il gergo professionale-specialistico esibische una pletora di tecnicismi burocratizzanti, di vezzi lessicali e sintattici che ne tradiscono l'intenzione esoterica. 


Wall Street vs. Piazza Affari: l'Arte di Rendere il Semplice Complicato

Se si paragonano i lemmi e le espressioni caratteristici di Wall Street con quelli di Piazza Affari, si rimane colpiti dal carattere assolutamente anti-intuitivo di questi ultimi nel confronto con i primi. E', per fare un esempio, il caso della vendita di azioni con profitto: laddove gli anglosassoni usano la semplice espressione “profit taking”, cioè “realizzo” o “vendita con profitto” qui in Italia si dice, comicamente, “presa di beneficio”. 
Sempre nello stesso campo, ci sono il “bid” (il prezzo a cui un investitore è disposto a comprare un titolo) e l'“ask” (il prezzo a cui è disposto a venderlo). L'italiano, in luogo di rendere i due concetti con le espressioni “offerta” e “domanda” (i concetti centrali del libero mercato), li rende (incredibilmente) con: “denaro” e “lettera”. E molti altri esempi si potrebbe aggiungere. 
Quale altro scopo è da vedere dietro un uso così criptico della lingua, se non quello di far apparire una disciplina più complicata di quello che è, in modo da scoraggiare i novizi a intraprendere percorsi autonomi, e indurli ad affidarsi a mani esperte? 


Il Mondo delle Imprese: la Stessa Fuffa
Anche in ambito imprenditoriale abbondano termini che prendono dall'inglese, spesso con l'intento di aggiungere una altisonanza a incarichi o mansioni affatto prosaici. Del resto, la stessa parola “manager” allude in Italia sempre a un ruolo di prestigio e responsabilità in un'azienda, laddove nella lingua originaria mantiene il basico significato di “gestore” (anche il semplice operatore di call center che gestisce un fascicolo in una compagnia assicurativa).
Forse quando si inizierà a chiamare il “contratto a progetto” “project contractor”, il ridicolo di simili operazioni di maquillage e travestimento apparirebbe in tutta la sua scintillante assurdità. In attesa di ciò, è utile che si comprendano le intenzioni - non di rado bieche - retrostanti un certo uso del linguaggio.

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