lunedì 23 dicembre 2013

CONTRO I REVISIONISMI

(Difficoltà: 4,8/5)

L'intellettuale Odifreddi, negazionista dell'Olocausto
In Occidente si è privilegiata la libertà a scapito dell'uguaglianza, mentre nell'Oriente comunista il contrario. Ma non si sono ottenuti, da ambo le parti, né l'una né l'altra. L'alternativa è stata sottoposta nella Storia a utilizzi strumentali e ciò è stato il più grande veicolo di ideologia.

 In realtà, due modelli di società diversissimi fra di loro si incontrano sul terreno comune dello sfruttamento delle classi deboli. Essi partono da un punto del cerchio, viaggiano in direzioni opposte ma, avendo ciascuno di essi al centro una identità di interessi blindata, alla fine s'incontrano nel punto opposto della circonferenza. Come è possibile questo? Semplice: per il fatto che quello in cui si differenziavano in partenza, ossia gli obiettivi del progresso del mercato che porta benessere da una parte, e della giustizia sociale dall'altra, erano nient'altro che ideologie. E infatti, come diceva l'economista J.K. Galbraith: "Sotto il capitalismo, l'uomo sfrutta l'uomo; sotto il comunismo accade esattamente il contrario."  


Revisionismo contro Materialismo Storico: Dubbio "Iperbolico" Contro Dubbio "Metodico"

La Storia è un campo in cui il conservatorismo può essere ammissibile. Infatti, la Storia si compone di fatti già accaduti, che è assurdo negare, a pena di incorrere nel revisionismo, che può essere dei "vinti" in un determinato contesto storico-epocale - come conferma l'esempio dei frequenti rigurgiti fascisti e negazionisti in Italia - ma anche dei "vincitori", impegnati nel tentativo di ricondurre in uno schema che li legittimi anche i fatti della Storia che lo contraddicono. Si può credere, per es., che Lincoln liberò l'America dalla schiavità mosso da un semplice istinto umanitario; in realtà, l'impulso venne dall'economia, e cioè dalla necessità di liberare il mercato della manodopera nera dal monopolio degli stati del Sud.
Anche in merito all'interpretazione della Storia, l'adozione del metodo storico-materialistico è una necessità, essendo l'alternativa un legittimismo poggiante sull'immodificabilità dello status quo sia in merito alle persone (eredità dinastica o per “sangue”, chiusura corporativa, nepotismo e cooptazione) che ai fatti (“tutto ciò che è accaduto non poteva essere altrimenti; anche la società è sottoposta a leggi naturali immodificabili”). 
Ma il metodo serve in ultima istanza ad appurare la verità, e una volta stabilità la verità, il non accettarla espone invariabilmente all'ideologia, al forte sospetto di secondi fini. La conservazione della conoscenza storica è una questione di libertà. La libertà che non poggia su basi certe di conoscenza storica è la falsa libertà del caos e dell'anarchia di pensiero, in cui si può annidare la barbarie. Questo è il caso del revisionismo propriamente detto. Il revisionismo che non riconosce l'evidenza storica configura solo l'apparenza di una conoscenza “aperta” secondo il metodo scientifico. In realtà, esso è - come in sostanza il legittimismo - una declinazione del dubbio "iperbolico" - "si deve dubitare di tutto" -, mentre il materialismo storico è una declinazione del dubbio "metodico" - "si può dubitare a partire da un principio universalmente riconosciuto": nella fattispecie, la struttura economica. Il revisionismo che nega l'evidenza storica è contro-ideologia menzognera, cioè vera ideologia, perché due negativi fanno un positivo.

Il punto chiave da mantenere è - in conclusione e per riassumere - che la mancata applicazione del metodo storico-materialistico consegna la conoscenza storica all'ideologia nella duplice forma del "legittimismo" - che è il revisionismo dei "vincitori" - e del revisionismo più comunemente inteso - che è il legittimismo dei "perdenti".



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