sabato 20 luglio 2013

IL "VIVERE NEL PASSATO". UNA RIFLESSIONE SULLE DIMENSIONI DEL TEMPO

(Difficoltà: 4/5)

Courtesy of Tiscali (I think)
Si dice spesso che bisogna guardare al futuro, che il passato può diventare una prigione di rimpianti e ricordi malinconici. Si dice che bisogna guardare al futuro anche rispetto al presente. Chi vive nel presente non non impara dagli errori del passato e non si prepara al futuro. C'è chi si spinge a dire che il futuro è l'unica dimensione che conta perché, tautologicamente parlando, è ciò che ci toccherà inevitabilmente.
Ma è veramente così? Il futuro merita lo status di unica dimensione a contare fra le tre alle quali può aprirsi la nostra vita? Il passato e il presente sono veramente delle prigioni senza sbocchi, l'una contrassegnata da rimpianti e l'altra da sensazioni futili e da un improduttivo “vivere alla giornata”?


Il Futuro è Una Rappresentazione

L'importanza che si accredita al futuro non intende ovviamente prescindere dalla consapevolezza che esso non esiste. Anzi, è proprio il suo carattere di “non essere” nel senso del “non ancora” a renderlo affascinante, perché declinabile nel puro elemento dell'apertura possibilistica: “Io posso essere tutto ciò che voglio”. Ciò che per un idealista è un vantaggio, lascia però indifferente il realista. Non è questa – si badi bene - una questione di ottimismo o pessimismo, cioè degli attributi arbitrariamente appiccicabili al futuro alla stregua di quel “non ancora”, se sarà “buono” o “cattivo”, insomma di ciò che ci si aspetta da esso. Il realista guarda alla semplice non-realtà del futuro. A lui interessa la semplice constatazione che il futuro non esiste e pertanto non può essere conosciuto. Anche il “non ancora” può essere messo in dubbio dall'attuale non-esistenza della dimensione futura. Chi mi dice infatti che il sole sorgerà domani, e che possiamo contare su un futuro più lungo di qualche ora o minuto? Se non possiamo essere assolutamente certi dell'esistenza del futuro come lo siamo della sua inesistenza nel presente, non ha senso dargli molta importanza solo sulla scia delle nostre attuali aspirazioni.
Il futuro, in buona sostanza, è solo una rappresentazione, un fantasma della nostra mente.


Anche il Presente Non esiste

Se a tutti può essere chiaro il fatto che il futuro non esiste, la nostra esperienza ci suggerirebbe che il presente invece esiste, perché in un certo senso lo possiamo non solamente pensare, ma anche toccare, assaporare, vedere e udire. La giustificazione del presente, della sua esistenza, ci deriverebbe insomma dalla nostra esperienza sensoriale. Questo è ciò su cui si appoggiano i detrattori del presente quando dicono che chi vive sprofondato in esso non ha aspirazioni, ma si consegna al piacere, al gozzoviglio licenzioso, alla carnalità e al godimento dei sensi.
Ma è veramente così? Esiste veramente il presente? La scienza delle modalità della conoscenza animale, incentrata sul sistema nervoso, ci dice piuttosto il contrario. Ogni percezione coinvolge gli organi sensoriali e il cervello, che elabora informazioni grezze provenienti dalle periferie del sistema nervoso. Ad esempio, la retina dell'occhio contiene fotorecettori che inviano al cervello le informazioni da interpretare. E' in realtà il cervello a “vedere”, non l'occhio.
Ora, il processo descritto richiede del tempo, e benchè si abbia la sensazione che tutto avvenga immediatamente, si può star certi del fatto che non è così. Nessuna percezione ci deriva immediatamente, perché nessun essere vivente in grado di percepire vive in simbiosi diretta con l'universo percepibile.
Che si può dire del pensiero? L'atto di pensare può essere apercettivo? Noi possiamo rapportarci direttamente con l'atto del pensiero, che è qualcosa che pertiene al cervello e può svolgersi indipendentemente dalle sensazioni, giusto? La questione è problematica: non ci è dato sapere se un essere sempre vissuto in totale isolamento percettivo sia in grado di produrre pensieri. Quello che è certo è che neppure l'atto di pensiero riflette una condizione presente, perché – come è stato dimostrato – ogni pensiero cosciente è anticipato a livello inconscio. Come per la percezione, anche il pensiero finito è il frutto di un processo del cui svolgimento noi non ci rendiamo conto, perché si sottrae al livello conscio. Ciò che crediamo l'essenzialmente presente è in realtà qualcosa di già accaduto in noi, e di cui noi raccogliamo il frutto. Percezione e pensiero sono essenzialmente dei ricordi in miniatura.


Conclusione: il Passato è l'Unica Dimensione Dotata di Realtà e La Storia è la Vera Scienza

Se il futuro è una semplice idea o rappresentazione, quindi non esiste, e se il presente parimenti non esiste, perché percezione e pensiero sono dei ricordi, delle testimonianze di processi aventi come tali un inizio e una fine separati, allora l'unica dimensione temporale dotata di realtà è il passato.
Il passato è l'unica ricchezza concreta a cui l'uomo possa fare riferimento. Il passato può essere certo fonte di visioni atterrenti, nella forma del rimpianto e alla nostalgia. Ma il rimpianto scaturisce dal guardare al passato con gli occhi del futuro (“se avessi agito diversamente le cose sarebbero andate meglio”) mentre la nostalgia sopravviene quando si guarda al passato con gli occhi del presente (“vorrei che fosse ancora così”). Queste visioni sono bloccate nel passato dalla tenaglia dell'assoluta irrealizzabilità di ciò che desiderano: un cambiamento da realizzarsi nel passato. Diverso è invece lo sguardo storico, che cerca di realizzare il cambiamento nel presente attingendo a un passato interpretato come Storia. La Storia, custode del nostro passato, è quindi la vera e definitiva scienza.

Il tempo porta via tutte le cose



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