domenica 30 dicembre 2012

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9993

BASTA CON IL GIORNALISMO-LETTERATURA!

Se c'è una cosa che mi fa incazzare, è l'eccesso di letteratura che si respira nei nostri giorni anche nel giornalismo. Il giornalismo dovrebbe essere descrittivo, non evocativo. E ciò in onore e nel rispetto delle tematiche che affronta e del suo intento cronachistico. Tutto il resto è fare della letteratura da parte di chi letterato non è, indebita affettazione degli eventi. Sovente, è squisitamente una questione di stile, in buona parte assimilabile ad un uso della paratassi talmente eccessivo da diventare impressionismo, come in tanta letteratura dei giorni nostri.

"Impressionismo" paratattico
Cos'è la paratassi? Sostanzialmente, è uno stile di scrittura che si basa sull'uso di proposizioni principali, escludendo dall'articolazione del periodo le subordinate, le proposizioni secondarie. Così, un periodo del tipo (sto improvvisando): “Percepii nell'aria l'odore che si avverte di solito negli ambienti occlusi nei quali dei lavori di imbiancatura siano stati da molto interrotti, vuoi per negligenza o per improvvisa mancanza di risorse, dal momento che, si sa, il senso olfattivo è acuito da uno stato di tensione e di allerta come quello in cui ero io in quel momento” diventa: “Percepii nell'aria un odore. Quello che si avverte negli ambienti occlusi. Quando dei lavori di imbiancatura siano stati interrotti. Negligenza. Improvvisa mancanza di risorse. Chissà. Il senso olfattivo è infatti acuito da uno stato di tensione. E di allerta. Quello in cui ero io. In quel momento.” Come si capisce a pelle, la seconda versione ha vocazione più inconfondibilmente letteraria, anche se solo nel senso della cattiva letteratura che si fa ai giorni nostri. Qui siamo a dire il vero già oltre la paratassi (siamo cioè alla paratassi spinta all'eccesso, non solo un semplice "eccessivo uso" della paratassi). Perchè un simile stile di scrittura, più che definirlo “impressionistico", sarebbe più opportuno chiamarlo “rapsodico” o “robotico”, se non propriamente “schizofrenicamente dissociato”. 
Un simile modo di scrivere sarebbe giustificabile solo per puntualizzare (letteralmente, nel senso di “mettere il punto”) elementi di un episodio, per motivi di drammatizzazione o climax, o semplicemente a beneficio di quel semplice descrittivismo minuzioso nel quale indulge molta letteratura femminile contemporanea. Insomma, va usato con criterio, anche in letteratura. Non ce ne accorgiamo, ma anche noi facciamo nostro questo stile quando parliamo nella vita di tutti i giorni. Sempre però in situazioni determinate: per es. quando rincariamo, con la loro enumerazione separata, la dose emotiva che ogni singolo elemento può apportare al nostro discorso, magari instaurando un climax (“Mi ha detto che sono aggressivo. Lei. A me. Di notte. Sapendo che fatico a prendere sonno. Lei che è addirittura violenta. Con tutti.”) 

Paratassi e ipotassi
Se è vero che un eccesso di subordinate fa innervosire perchè è difficile da seguire e denota forse una superbia intellettuale da parte di chi scrive (esempio ne sia lo stile di molti filosofi tedeschi dell'Ottocento), d'altra parte la paratassi, soprattutto nella sua interpretazione estrema, può nascondere la difficoltà mentale nell'articolazione di un discorso ragionato. Chi scrive con ipotassi (il contrario della paratassi) ha magari una alta considerazione di sé, ma mostra anche una alta considerazione dei suoi lettori, che ritiene capaci di seguirlo nel suo labirinto di interconnessioni causali, finali e temporali. D'altra parte, colui che utilizza lo stile di scrittura sopra esemplificato, può apparire forse più umile, ma, superato un certo limite di decenza stilistica, non mostra una grande considerazione per il suo lettore, e dà l'impressione di volerlo accompagnare per mano come un infante.
Come ho scritto all'inizio, ciò è tanto più grave in un contesto giornalistico, dove la letteratura non dovrebbe trovare posto, a meno di non voler dare benzina al fuoco di quella critica che vuole certi giornalisti essere dei letterati frustrati. Quando è cronaca, il giornalismo dovrebbe fornire una descrizione del fatto avulsa da ogni caratterizzazione letteraria ed emotiva: il suicidio di una donna per amore contiene già in sé una forte carica emotiva senza che si debba resuscitare lo spettro letterario di M.me Bovary. Quando è commento, dovrebbe guidare con austerità e relativa freddezza il lettore alla comprensione delle cause del fatto, e delle sue possibili conseguenze.
Pezzi di pessimo stile giornalistico sono gli editoriali del commentatore di sondaggi Ilvo Diamanti su “Repubblica”. Eccone un esempio:
“Fini e Casini, postfascisti e neodemocristiani. Miracolati. Sdoganati e recuperati da lui, nei primi anni Novanta. Quad'erano gli esemplari sopravvissuti di una specie in via di estinzione. Destinati a scomparire. Oppure a finire fuori gioco. Emarginati ed esclusi. Berlusconi ha offerto loro un ruolo di primo piano. E loro, in cambio, hanno tramato per la sua successione. Fino ad abbandonarlo. Lasciandolo solo. Come ha fatto gran parte dei parlamentari del Pdl e del centrodestra. Lo scorso ottobre, dopo la condanna del Tribunale di Milano a suo carico per frode fiscale, nel processo Mediaset. Berlusconi. Si è sentito vulnerabile. Ed è tornato. E' sceso di nuovo in campo. Meglio, in campagna elettorale. Anzitutto e soprattutto in televisione. Abituato com'è a considerare la tivù la grande madre dell'Italia media. L'Italia dei media.” (“Repubblica”, 24 dic. 2012). Certo qui è un caso di totale incapacità a scrivere più di quanto non sia la volontà di infilare della letteratura dove non ce ne può stare, ma tant'è.
La prossima volta che leggete qualcosa, qualsiasi cosa, fateci caso!


venerdì 21 dicembre 2012

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9994

 FENOMENOLOGIA DELL'"ATLETA DI STRADA"

Se c'è una cosa che mi fa incazzare questa è la propensione della gente a farsi del male anche quando crede di farsi del bene, e mi spiego.
Ogni tanto vado a correre per tenermi in forma. Le aree prescelte sono quelle collinari, o comuque quelle il più possibili isolate dal traffico e il più possibile immerse nella natura. La corsa, a piedi o in bicicletta, deve essere un'occasione per stabilire un contatto con la natura, che in cambio ci dà ossigeno fresco da respirare.
Come per l'acculturamento, anche l'attività fisica ha un prerequisito essenziale: la solitudine. Vale a dire che, tanto quanto lo studio è un rapporto fra te e il libro che richiede il silenzio quasi ascetico di un ambiente isolato da interferenze umane, così anche l'attività fisica produce i suoi ricercati effetti se eseguita lontano da quegli elementi che denotano nel nostro tempo, ormai senza eccezioni, la presenza umana: il trambusto veicolare e lo smog.
Se si perde questo fattore di “armonia con la natura”, allora si perde di vista anche il significato dell'attività fisica, che diventa quindi più un bene che un male.
Quello a cui voglio arrivare è una fenomenologia di quello che chiamo “l'atleta di strada”, cioè di coloro che, sempre più frequentemente, fanno attività fisica per le strade delle nostre caotiche e puzzolentissime città. Mi avvio a dissezionarne le caratteristiche:

  1. l'atleta di strada è, per sua disgrazia, un tipo socievole fino all'estremo, un “sociopatico all'incontrario”: non tollera la distanza fra sé e i suoi simili nemmeno in quei momenti che la richiederebbero. Egli studia nelle affollatissime aule studio delle università, con il risultato che: a) deve fare pausa al bar ogni volta che uno dei suoi 100 amici glielo propone; b) deve dribblare mentalmente sghignazzi, sussurri, parlottii e confabulae, moltiplicando il già di per sé erculeo sforzo dello studio. Quando fa movimento, o lo fa nel puzzo di una palestra dove regna l'atmosfera techno di una stazione spaziale e l'eco di un capannone di tessitori cinesi clandestini, o lo fa immerso nella folla cittadina, fra cantieri che fanno rimpiangere i ruderi del dopoguerra, e code di metallo che si srotolano fra un semaforo e l'altro all'ora di punta.
  2. Questa “coazione alla socialità” si ammanta del retrogusto di una vanità mal riposta, veicolata da un unico pensiero sul quale l'“atleta di strada” rimugina senza manco accorgersene: “Voi umili mortali indaffarati in un lavoro che fa schifo e intrappolati nelle vostre gabbie di lamiera ruotate, io qui libero come il vento a mantenermi in forma.” In realtà, gli autisti sono protetti dallo smog che essi stessi producono, e che l'“atleta di strada” respira a pieni polmoni e con cicli di respirazione accelerati. Forse è solo una mia fisima, ma questo mi sembra il prodotto di un fenomeno impostosi negli anni '80: la vanità esteriore che sequestra un'attività fisica e una cura del corpo consumerizzate. L'attività fisica non più come perseguimento della salute, ma come ricerca di un corpo più snello e più scolpito (con effetti di stravolgimento del senso, come nel culturismo ipersteroidizzato). Ma comunque chissà mai che, trotterellando in bella vista e con incedere atletico sulle cementificate promenade cittadine, non si riesca pure a cuccare.
  3. Anche l'“atleta di strada” deve lavorare. Il risultato? Che l'attività fisica ha spesso luogo quando il sole è già calato sopra la città, le strade sono piene di smog accumulato durante tutta la giornata, e le poche piante presenti hanno ormai cessato di emanare ossigeno e cominciano a sputare fuori anidride carbonica. Se mettiamo nel mix pure l'effetto serra, l'atmosfera assume consistenza giupiterina. Siamo all'apice della follia.

Conclusione polemica (e non potrebbe essere altrimenti)

Chi svolge attività fisica in questo modo dovrebbe riflettere sul fatto che si consegna a un'attività che già di per sé impone sacrifici, e che ottiene poi l'effetto contrario; in pratica, si sforza di farsi del male credendo di farsi del bene. Gli antichi dicevano “mens sana in corpore sano” intendendo così dire che un corpo sano aiuta a pensare meglio. Invertendo e parafrasando, si potrebbe dire che la stoltezza del comportamento dell'"atleta di strada" lo fa stare fisicamente male (nel mentre che crede di fare il proprio bene). 

Anche se non siamo in estate, ecco il mio tormentone: "La prossima volta, fateci caso"!


"Magari tu ci hai le gambe più lunghe, però io in cambio sono più intelligente."

martedì 11 dicembre 2012

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9995

 "NON ANDATE A VOTARE E STATEVI ZITTI". LA "DEMOSCROTIZZAZIONE" DELLA CULTURA

Se c'è una cosa che mi fa incazzare questa è la democratizzazione della cultura, che io chiamo la demoscrotizzazione della cultura, e i suoi effetti.
L'equivoco sotteso a questo sviluppo è lo stesso che fa da base alla democratizzazione della politica, che noi chiamiamo democrazia. In realtà, già la parola "democratizzazione" contiene in radice la parola democrazia, per cui sembra che il mio discorso sia una tautologia, un circolo logico e anzi
semplicemente verbale. Ma la scelta delle parole non deve sviare dal fondamento di quello che voglio dire. Diciamo allora, per meglio capirci, che la democrazia è la politica messa a disposizione del popolo, cioè di tutti. Non certo, ovviamente, nel suo aspetto operativo (il "fare" la politica, che richiede conoscenze tecniche), ma solo per quanto concerne la scelta dei nostri rappresentanti politici, che poi andranno a prendere decisioni su nostro mandato. Ma qui scatta l'equivoco, basato su una mancanza di coraggio degli addetti ai lavori: il coraggio di dire che anche chi sceglie i futuri governanti deve avere gli strumenti per capire cosa andranno a fare, e se ne saranno in grado. La democrazia nasce così zoppa, perchè da una parte il popolo è sovrano, dall'altra non si può porre la problematica dell'inadeguatezza delle masse nel scegliersi i rappresentanti politici senza rischiare di minare un fondamento della democrazia moderna: il suffragio universale.

"Libertà di Voto" e "Libertà di Parola": Tutt'un Equivoco

Che il gioco democratico spalanchi le porte con una frequenza impressionante a populisti e a estremisti di ogni sorta da una parte, o a semplici mediocri dall'altra, è semplicemente il cerchio che si chiude: il popolo tende a votare chi gli assomiglia, cioè personalità viscerali od omini senza arte nè parte. E' destino della democrazia disegnare ad ogni occasione un movimento circolare che sancisce la regola della fungibilità della classe politica rispetto al popolo che la elegge. In parole semplici, come una regola del successo televisivo è quella di scegliere i propri personaggi non tra le persone in gamba, ma tra quelle con cui lo spettatore medio possa identificarsi, così la politica sceglie i propri rappresentanti non tra le persone tecnicamente in gamba, ma il popolo sceglie direttamente (e senza la mediazione esercitata in tv direttore di rete) coloro che sono simili a loro. Tutti possono sostituire tutti ("fungibilità"), e il merito non ha nessun ruolo. In politica la mentalità troppo "tecnica" o "ragionieristica" non accende gli animi, così come in tv la personalità troppo brava e brillante dà fastidio e suscita invidia tra gli spettatori. Il risultato è che chiunque potrebbe andare a fare in tv quello che fa Paolo Conti, così come chiunque potrebbe andare a fare in Parlamento quello che fa Enrico Boselli. Per questo è giusto dire che la democratizzazione della cultura non è per nulla dissimile alla democratizzazione della politica. Per carità, qui ci si muove su un terreno sdrucciolevole, perchè quando si contesta il suffragio universale si rischia di dare l'impressione di dire che non tutti debbano avere diritto di voto. In realtà, tutti devono avere diritto di voto (politica) così come tutti devono avere diritto di parola (cultura). Ma questo non ci impedisce di dire che non tutti possono fare politica e non tutti possono fare cultura. se uno di quelli che vota i populisti o gli incompetenti si mette in testa di esercitare la politica, una democrazia sana è quella che pone dei paletti per impedirglielo. Se uno che non ha istruzione su ciò di cui parla ne discute in pubblico (e cioè "fa" cultura), una cultura sana (nel contesto di un principio di libertà di parola correttamente inteso, e cioè facente capo a una democrazia sana) glielo deve impedire. Ma attenzione: l'elemento "pubblico" qui è determinante: se uno massacra shakespeare tra le mura di casa sua, non "fa" cultura, ma solo chiacchiera; se uno massacra Shakespeare in un convegno di dotti, con giovani studenti a pendere dalle sue labbra, allora qui c'è l'elemento del pubblico e costui "fa" cultura. Allo stesso modo, non è affatto vero che l'unico modo per fare politica sia quello di entrare nelle stanze del potere: il semplice voto, che ha naturalmente rilevanza "pubblica", è un "fare" politica. Conseguentemente, quanto detto sopra a proposito del politico praticante va esteso anche al semplice votante.

L'Anarchia Strisciante

Ad ogni modo, politica e cultura sono due facce di una stessa medaglia. Se si capisce questo, si è sulla buona strada. Dire che tutti devono avere diritto di voto equivale a dire che tutti devono avere accesso agli strumenti per votare in modo consapevole, cioè il discorso politico incorpora il discorso culturale. Allo stesso modo, dire che tutti hanno diritto di parola equivale a dire che tutti devono avere accesso agli strumenti della cultura e alla scuola che li distribuisce, secondo un principio egalitario correttamente inteso (cioè, anche qui, facente capo a una democrazia sana), cioè il discorso culturale incorpora il discorso politico. "Diritto di voto" non deve significare il diritto di segregare il paese per 5 anni nella prigione di inefficienze e illegalità scaturite da una scelta iniziale sbagliata, così come "diritto di parola" non significa dare a tutti carta bianca per sequestrare la cultura nelle segrete di un "opinionismo" fallace, sterile e fine a se stesso. L'egalitarismo democratico inteso nel senso che “tutti possono fare e dire tutto”, a prescindere dalla preparazione e dalla condivisione di strumenti propedeutici a un corretto esercizio di tali diritti, è solo una propaganda democratica che nasconde l'anarchia: comprensibile in un periodo nel quale la democrazia doveva ancora imporsi, ma ingiustificabile per una democrazia che si vuol dire matura. L'equivoco sottostante la democratizzazione della politica porta ad esiti che tutti conosciamo e abbiamo conosciuto negli ultimi 20 anni. L'equivoco sottostante la democratizzazione della cultura può avere effetti altrettanto devastanti. Per chi voglia a tal proposito farsi 4 risate, legga l'ultimo paragrafo.

"Calmierare i Bollenti Spiriti"

Su una rete televisiva locale della mia città, c'è a ora di pranzo una trasmissione di cui non faccio il nome per non circostanziare troppo. Argomenti:
attualità politica e cronachistica. Ospiti: prevalentemente politici veneti. Struttura della trasmissione: prevalentemente un "dare la parola" telefonicamente a chi sta a casa (in genere casalinghe e pensionati, perchè la trasmissione è ad ora di pranzo), per stimolare così la discussione in studio. Chi la vede, subisce una sensazione simile alla nostalgia, e mi spiego. Chi può dire se la nostalgia è cosa buona o cattiva? Certo si piange sui bei tempi andati, ma lo si fa con un gusto dolce in bocca e nella mente. Allo stesso modo, vedendo questa trasmissione, si piange sui brutti tempi arrivati, ma lo si fa sbellicandosi dalle risate. A onor del vero, si "piange sui brutti tempi arrivati" non direttamente, ma ascoltando la mediocrità colpevole di persone che sono assieme l'effetto e la causa dei tempi che stiamo vivendo. E' il Veneto "che si è fatto da solo" quello che si ascolta in quella trasmissione dalla bocca delle persone in studio e da casa. Il risultato di quest'opera autopoietica? Il lettore giudichi da sè. Queste sono alcune delle cose che sono uscite da quella trasmissione, e che io ho volenterosamente raccolto (miei commenti tra parentesi): 
1) “Bisogna sconfiggere il terrorismo occupando la striscia di Garza.” (bastasse un semplice bendaggio per sanare certe ferite..."
2) “E' brutto dover constatare il progressivo barbarimento della politica” (e perchè no “giovannamento” o “elenamento”?).
3) “Bisogna essere uniti nella lotta contro il turismo!” (forse "terrorismo"?)
4) “So che mi tirerò addosso qualche inamicizia, ma posso fare una critica a quei due ospiti della sinistra? Fate schifo!!” (Quel che si dice una critica costruttiva...)
5) “E' tutto un magna-magna. Svergognatevi!” (Ssi shai sragione, schiedo svenia.)
6) “Cerchiamo di calmierare i bollenti spiriti, qui, eh?!” (Lo dicevo io che in tv si parla troppo di economia...)

Conclusione Polemica (e non potrebbe essere altrimenti)

Vedete allora qual è la vera differenza tra noi e gli americani? Che loro possono dire "I have a dream..." parlando del loro futuro; noi possiamo dire "I have a nightmare" parlando della merda di presente in cui siamo impelagati.
La prossima volta, FATECI CASO.

lunedì 10 dicembre 2012

L'INVIDIA: ANCHE SE LA CONOSCI, NON LA EVITI

Gli effetti che l'invidia può avere in termini personali (l'autostima, per es.) e sociali (penso alla possibilità di un'organizzazione "meritocratica" della società e del lavoro), sono tra i più gravi. Eppure, il rischio per chi la denuncia è quello di dare l'impressione di credersi un genio incompreso. Non ho mai tollerato molto chi parla della stupidità altrui, perché ho sempre trovato che questo rinvii implicitamente allo snobismo di una superiorità intellettuale di chi scrive.

venerdì 23 novembre 2012

DONNA INTELLIGENTE, UOMO RUFFIANO

Cavalli e cavallesse
In un articolo di Repubblica (l'articolo è qui) del 16/07/2012 leggevo: "Il sorpasso delle donne. 'Così sono diventate più intelligenti dell'uomo.'"
L'articolo si sviluppa con delle argomentazioni e analisi di cui uno segue volentieri il filo, che partono dalla constatazione che le donne hanno finalmente superato gli uomini nei punteggi dei test d'intelligenza, cosa mai accaduta prima. Seguono ipotesi, teorizzazioni, elementi etiologici: forse ciò è dovuto al pluridecennale impegno quotidiano a conciliare lavoro e famiglia, si legge, incarnazione del "multitasking" che noi credevamo riguardare solo computer e smartphone.

domenica 28 ottobre 2012

QUANDO E' CHE SI TOGLIE DALLE PALLE?!


Quattro giorni fa Berlusconi annunciava la sua exit strategy dalla politica: voleva farla finita, insomma. Molti - a ragione - hanno interpretato questa uscita come un messaggio ai giudici alla vigilia della sentenza di primo grado sul processo Fondi Neri Mediaset: "Vedete, esco dalla politica, quindi non avete più un avversario, siate clementi, è un messaggio di pace che vi mando." La prova di ciò sta nel fatto che, una volta la sentenza pronunciata, sentendosi tradito in un patto talmente tacito che lo sentiva solo lui, il Nano è scoppiato come una confezione di mozzarella dimenticata sotto il sole: "Giudici dittatori", "governo servo di Berlino", "Merkel e Sarkotzy assassini", fisco criminale, crisco fiminale, misco crifinale.

Sincero ma Stupido, Furbo ma Falso

Quindi: prima della sentenza B. annuncia il ritiro da politica; dopo la sentenza, B. annuncia il ritorno in politica. Deduzione: B. cercava di offrire una sponda ai giudici al costo di una sentenza clemente. Visto che la sentenza non è stata clemente, allora è diventato il B. di sempre, con corollario di minacce vagamente mafiose ("Valuterò se far cadere il governo Monti": come sarebbe a dire "valuterò"? Il governo è lì da un anno e lui non ha ancora avuto modo di pensare ai pro e ai contro?)
Ora, se la contropartita che offriva era di natura politica che più politica non si può (il proprio ritiro dalla politica), allora B. è sempre stato sincero nel dire che i magistrati erano "politicizzati": l'ha sempre creduto veramente e non era semplice propaganda. Ma, siccome in realtà la lunga storia delle sentenze di B. negli innumerevoli processi a suo carico dicono che i magistrati l'hanno semmai trattato come uno "più uguale degli altri" (un esempio per tutti, le incredibili motivazioni della sentenza sul caso Sme-Ariosto), privilegiandolo invece di danneggiarlo, allora B. si dimostra stupido nel pensare che i giudici agiscano per motivazioni politiche.
Se invece, nonostante l'apparenza, B. non crede alla politicizzazione dei magistrati di Milano più di quanto creda agli elefanti rosa, allora usa l'accusa come propaganda, e quindi non è stupido: è solo un falsone.
Sincero ma stupido o furbo ma falso: non una gran scelta, bisogna dire. E poi, a dire il vero, la scelta è fittizia: un pò come quando al supermercato non ti sai decidere fra due yogurt e allora li prendi tutti e due.
Ma è un dilemma, questo, che ormai può non interessare più nessuno, in quanto l'uomo è ormai finito, e lo è da anni. Il fatto che nonostante ciò sia ancora lì a decidere degli equilibri di una maggioranza di governo, non può meravigliare chi conosce questo paese.

La Fenice Pezzata

Infatti, in Italia abbiamo una versione particolare della Fenice che rinasce dalle ceneri: si chiama Gattopardismo, cioè il "cambiare tutto perchè nulla cambi". Il segreto della cronica arretratezza di questo paese sta tutto qui. Il mondo cambia, cambiano le società, ma l'Italia non riesce a schiodarsi dallo stigma di un patriarchismo mafiosizzato che scava, con l'aratro dei privilegi, incolmabili solchi fra le varie caste e l'insieme dei normali cittadini. Il "vento della democrazia" post-bellica ha qui scombussolato le carte in modo che ai cittadini normali rimanessero in mano solo gli scarti. Non è la società civile che è mutata per assecondare la Storia, ma è la società civile che, con continui voltafaccia fittizi, ha negato, assieme all'urgere dei cambiamenti storici, anche anche la possibilità del prorio essere appunto "civile". Dalla Sicilia al resto dell'Italia, è sempre la legge del capobastone a permeare la cultura dei rapporti sociali.
B. incarna da sempre questo autoriciclaggio di ruoli e di immagini. Ma non è il caso di preoccuparsi, o comunque non ancora a lungo: dove non possono gli anticorpi che una società riesce a darsi (da questo punto di vista l'Italia ha l'AIDS), può la natura.



domenica 23 settembre 2012

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9996

TIM & COMPANY: QUANDO E' CHE
SI TOLGONO DALLE BALLE?!

Una delle cose che mi fa più incazzare sono i soprusi delle compagnie telefoniche. Mi riferisco ad una in particolare: la Tim.
Sono stato anche cliente Vodafone dal mio ingresso nella telefonia mobile (2002) fino al 2005, anno in cui cambiai perchè mi accorsi che la Vodafone non si era comportata bene. Che cosa era successo? Ricordate uno di quei primi piani tariffari da un occhio della testa (1 euro/min. o più)? Ecco, per 3 anni, l'evoluzione della telefonia mobile verso tariffe più convenienti (fino ad arrivare agli attuali 10 c./min.) era transitata da me impercepita come la rugiada delle cinque del mattino.
La vodafone (correttamente dal punto di vista di una compagnia che antepone il profitto alla fidelizzazione del cliente, non accorgendosi che le due cose vanno di pari passo), col cavolo che mi chiama per farmi notare che parlavo a tariffe da epoca codice-Morse! Normale, dite voi? Dovevo svegliarmi prima io? Passiamo al punto successivo.


La prima fregatura

La Tim dicevo...
Io abito in uno shithole: un seminterrato dove la connessione wireless a internet è l'unica opzione, ma nemmeno troppo buona: mura spesse (devono sorreggere un palazzo di cinque piani, dopotutto) e schermatura di un balcone giusto sopra la mia finestra: perchè dovrebbero passare le onde radio, visto che non entra un filo di luce, che è allo stesso modo un fascio elettromagnetico? L'unica che prende in maniera discreta, mi accorgo, è proprio la Tim. Questa è una disgrazia, perchè già con una ricaricabile mi erano spariti circa 20 euro un annetto prima ("Servizio attivato involontariamente cliccando su banner o pop-up", mi disse l'operatrice...). Decido di ritentare, perchè non ho scelta.


"Calciatore scorreggia: ammonito!"

 Aderisco a un'offerta di internet wireless con modem che si chiama "Internet Pack senza limiti" e qualcos'altro. Mi accorgo che spariscono 5 euro, e vabbè, me l'aspettavo: disattivo il servizio Tim imputato di ciò (Uao Uao: scarica immagini di auto e gnocche in bikini) e ricarico con altri 5 euro. Poi mi accorgo che i 5 giga di bundle non mi bastano (svolgo un lavoretto da casa via internet) e attivo un'altra sim da 10 giga (che, pure, uso SOLO per navigare via modem: no sms, no chiamate).
Aspetto l'attivazione della sim, mi connetto il giorno dopo (cioè il 12/09) per vedere se ci sono servizi Tim attivi: none, sembra tutto a posto. Una decina di giorni dopo non mi funziona più internet su questa seconda sim. Già sospetto che ciò accade perchè non c'è più il credito "di sussistenza": una cifra minima (per es. i 5 euro che ti regalano con l'attivazione) che ti permette di usufruire della navigazione. Chiamo l'199, ma prima verifico la lista degli sms. Vedo una caterva di news, tra le quali l'irrinunciabile:

"Calciatore scorreggia, l'arbitro fischia e lo ammonisce. E' quanto accaduto in Inghilterra nel bel mezzo di una sfida Manchester Chorlton Villa-Stretford."

E, più sotto, l'annuncio dell'attivazione di un servizio (data 13/09):

"CURIOSERIE:Info al 0910845217 abb. att.X soli 1,5E/sms(4sms/7mana) X disatt. curioserie stop al 4852024."

Chiaro no? 4 sms/settimana alla modica cifra di 1,5 € ciascuno, con chicche di infotainment come quella citata.
L'operatore Tim mi conferma tutto, e mi dice che sono sotto di 1 € dai 5 iniziali. Sono gentile con lui, che è una vittima del sistema come me (che s'ha da fà pè ccampà!), ma gli dico di disattivarmi tutto, e drammatizzo shakespearianamente la situazione come so fare solo io. Dopo un pò, caterva di sms con disattivazione di servizi porno, automotive, bikineski, wallpapereschi, info ecc.

Morale della favola: non aspettatevi che vi svegli un principe: in attesa che queste farabutterie spariscano assieme ai loro perpetratori (la Tim è sulla buona strada, visto il valore di borsa), rendete omaggi al dio Skype e FATECI CASO.

lunedì 10 settembre 2012

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9997

"RAP-INA"

Il grande Falco
Se c'è una cosa che mi fa incazzare sono le canzoni che credi siano originali, e invece...
L'industria della musica è come l'industria del cinema, che è come l'industria del videogioco che è come l'industria e basta: si attacca alle mode, alle formule. Molte canzoni appartenenti alla fattispecie del rap-soul-hiphop commerciale, hanno un ritornello accattivante, di solito cantato da una voce femminile, mentre invece le strofe (il resto della canzone) è costituito da un rap cantato da voce maschile. Fin qui tutto chiaro: si tratta di una formula consolidata. Una formula che "vende".
Ascoltando una di queste canzoni uno pensa: vabbè, si vede che il compositore ha trovato un ritornello orecchiabile e poi, visto che un ritornello non fa una canzone, ha "riempito" la canzone usando lo stratagemma più semplice: il rap, cioè una mitragliata di parole che con la loro natura ritmica (melodia zero), stanno lì a far da contrappunto al ritornello. Sono cose che succedono a chi crea musica (vedi Glorious di Andreas Johnson: ritornello splendido, ma il resto...).
Fin qui, tutto bene, e la formula funziona.
Poi però, ti accorgi (quando hai fortuna) di una cosa che chi compone e chi canta la canzone certo mica ti vengono a dire: che il ritornello, pure quello, è stato espiantato da un hit del passato e trapiantato nella nuova canzone. Gli esempi, per questa e per altre formule, sono innumerevoli. Eccone alcuni:

1) Ricordate l'"oh-oh-oh-oh" che costituiva l'ossatura di "U can't touch this" (1990) di Mc Hammer? Beh, quello, se permettete, viene da "Der Komissar" (1982) del grande e compianto cantante austriaco Falco.
2) 1990: Vanilla Ice (Ice ice baby). Senza la linea ritmica di "Under Pressure" (1981) di Queen/David Bowie, questa canzone sarebbe uguale a migliaia d'altre.
3) Jay-z, Pray (2007). L'ossatura ritmica e melodica è di Every breath you take (Police), del 1983.

Questi sono solo alcuni delle decine di esempi possibili, e sono i primi che mi vengono in mente. Al tempo dell'uscita di queste canzoni, notai i "saccheggi" che perpetravano, perchè vengo musicalmente dagli anni '80, sono patito di musica e certe melodie le riconosco a menadito.
Fatico molto a trovare esempi di simili imposture con riferimento ai decenni precedenti i '90: probabilmente perchè il rap allora era una cosa seria: esprimeva rabbia vera (Public Enemy), e forza creativa (LL Cool J, l'inventore della ballata rap) e non un modo per coprire la propria nullità musicale, fatta di versi scarabocchiati a bordo di limousine nei boulevard di Beverly Hills.
Mi dispiace, ma il rap è morto, e ve lo mostro qui sotto.
Quindi, se conoscete la musica pre-anni '90 e volete divertirvi a trovare plagi, le prossime volte fateci caso.


mercoledì 5 settembre 2012

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9998

"HOMO TECHNOLOGICUS PIGERRIMUS"

Se c'è una cosa che mi fa incazzare è la pigrizia che sta dietro un concetto equivoco e consumistico del progresso tecnologico.

Il concetto di "addizionalità infinitesimale"

Io non ho nulla contro il progresso tecnologico, anzi sono ossessionato, oltre che dai miracoli nel campo della portabilità, anche dal concetto dell'"addizionalità infinitesimale", che sembra la regola di questo tipo di progresso nella sua chiave più moderna. L'esempio cardine è quello dei microprocessori. Importante quanto la legge di Moore, ne fu inventata un'altra: quella che tu Intel potevi avere pronto nei tuoi laboratori un chip con potenza di calcolo 10, ma se sul mercato in quel momento storico il top di gamma era un chip a potenza 3, nel cacciare fuori nuovi modelli tu dovevi innalzare l'asticella evitando salti in avanti, per monetizzare al massimo la brama di velocità degli utenti digitali.
E' così che a partire dagli anni '90, con il passaggio del mercato di massa dagli home ai personal computer, si è instaurata una cadenzialità quasi annuale di innalzamenti nelle frequenze di calcolo, il tutto facente capo a diverse categorie di Pentium, e il tutto contraddistinto da un dosaggio certosino. Quasi si parlasse di chimica e non di elettronica, e quasi quei 10 Mhz in più potessero farti esplodere, con il terminale, l'intera casa.

La sindrome del copione

Mi dispiace dirlo, ma ho paura che, se oggi si può parlare di morbosa corsa all'innovazione fine a se stessa, questo è da imputare al mondo della tecnologia informatica. Non che questa abbia colpe, se non apparenti: il processo che ho descritto nel precedente paragrafo può trovare giustificazione non solo nel marketing, ma anche in questioni di sostenibilità operativa. Forse la gradualità descritta non è solo "furba", ma anche necessaria e rispettosa. La tecnologia informatica ha fatto quello che doveva fare, e ha inseguito un'idea di progresso corretta (almeno per chi è disposto a crederci) e confermata dai risultati.
Il problema è che anche quei settori dell'economia basati sulla meccanica si sono sentiti in dovere di abbracciare la nuova frontiera del progresso tecnologico, che è ormai da decenni in mano all'elettronica. Con risultati discutibili, se pensiamo a che razza di marchingegno è diventata oggi l'auto, "elettronicizzata" fin nelle sue funzioni più basilari, come la chiusura del baule. L'elettronica è messa lì a controllare la meccanica, quando semmai è lei che dovrebbe essere controllata!
Il dramma è che questo condiziona anche l'antropologia, e qui vengo all'oggetto della mia incazzatura. La nostra quiete è quotidianamente disturbata da un nuovo (?) ritrovato dell'ingegneria del futile: una specie di fucile spara-aria che aiuta i giardinieri a liberare marciapiedi e selciati dei rimasugli arborei della loro recente attività, emancipandosi così dal millenario giogo della ramazza. Si può pensare a qualcosa di più inutile e di più odiosamente ozioso di questo disturba-quiete?
Il progresso tecnologico dovrebbe essere trattato più seriamente. La risoluzione della diatriba se sia l'uomo a controllare la tecnologia o viceversa, può avere una chiave di volta nel concetto di "futile", sul quale molta della tecnologia oggi indulge. E che non ci si debba fare troppe illusioni, lo si capisce dal fatto che all'essere umano ormai non gli va manco più di scopare.
Il computer: quello sì che sa cos'è e come si usa la tecnologia.
Non credete a quanto ho scritto? La prossima volta che il frastuono di un motore che non è nè auto nè scooter interrompe la quiete dei vostri pensieri, aprite la finestra, guardatevi intorno, e fateci caso.

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/9999

"CUANDO IL TALIANO E UN OPPINIONE"

Se c'è una cosa che mi fa incazzare, questa è l'uso che si fa dell'italiano presso quelle fonti che dovrebbero esibirne un utilizzo corretto, se non esemplare. La categoria alla quale mi riferisco, anche se non esclusivamente, è quella dei giornalisti. Non mi cimenterò qui in un cocktail fruttato da farvi sorbire sotto l'ombrellone, perchè già qualcuno mi ha preceduto. Mi concentrerò piuttosto su uno svarione da annoverare tra quelli di cui nessuno, tra i cruscanti più o meno improvvisati, si accorge mai.
Ve la presento a mò di quiz:

1) "La grande moltidutine dei vacanzieri riempiono le autostrade in prossimità di Ferragosto."
2) "La grande moltidutine dei vacanzieri riempie le autostrade in prossimità di Ferragosto."

Dài, qual è la versione giusta? Ecco un piccolo indizio: se avete scelto l'opzione 1), meritate il retro della lavagna o, in alternativa, un posto da lettore di notizie al Tg1 del momentaneamente defunto (almeno televisivamente parlando) Minzolini. Ma se invece siete dalla parte giusta della grammatica e non credete a quello che scrivo, la prossima volta fateci caso.

10MILA COSE CHE MI FANNO INCAZZARE/10000

Come reazione a blog del tipo di "1000awesomethings.com", che sta avendo un gran seguito, non sarebbe una buona idea redigere un elenco delle cose che più ci fanno incazzare? Naturalmente l'idea non ha nulla di rivoluzionario, e immagino che debba esserci qualcosa di simile da qualche parte nella rete, ma mi piace pensare a ciò come al lato oscuro del minimalismo esibito nel summenzionato sito. Elencare cose piacevoli e graziose può senz'altro aiutare ad assaporare quei piccoli momenti della vita che la rendono dopo tutto degna di essere vissuta. Elencare le situazioni da incazzatura della vita quotidiana, d'altra parte, può servire allo scopo di razionalizzarle e di pensare a degli antidoti contro le loro nefaste conseguenze. L'utilità di questo "pensiero negativo" è che se non altro permette di pensare a soluzioni a problemi magari piccoli ma concreti, anziché bloccarti in menate contemplative - e vagamente effeminate - sulle piccole gioie del vivere. Se permetti a questi piccoli gremlins (le incazzature) di trovare una nicchia nel tuo inconscio, il rischio è che mettano radici, in modo tale che un giorno magari scleri senza ragione apparente. Se sono inconsce, infatti, che ne sai che sono loro le responsabili di quell'insensata arrabbiatura che ti assale tutto d'improvviso, e che non trova giustificazine nella piccolezza del singolo evento?

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Eccone una, per cominciare, ma non senza una nota preliminare: potrete notare che molte delle mie entry a questo riguardo hanno a che fare con l'auto: infatti, io essenzialmente odio guidare.

Se c'è una cosa che mi fa incazzare è che molti pirla - di solito arroganti possessori di auto costose, pensano che mentre guidano su una larga strada urbana a più corsie (ad esempio a 4 corsie, due per ogni senso di marcia), dove spesso sembra regnare un tacito consenso alla sospensione dei limiti di velocità (una "costituzione materiale", per richiamarsi all'ambito politico, dove tale definizione accompagna la voglia di Far West istituzionale), pensano di poter fare come sull'autostrada, dove la corsia più a sinistra è dedicata al sorpasso. Per cui, quando hai la mala sorte di guidare su una di queste corsie, vedrai sovente queste persone nello specchietto retrovisore attaccarsi al culo della tua auto e farti gli abbaglianti o suonare al tuo indirizzo, per intimarti di spostarti sulla corsia di destra in modo da lasciar loro libero il passaggio. Li vedrai spesso agitarsi e boccheggiarti addosso parole che non puoi udire, dalle cabine di pilotaggio delle loro sontuose berline. In realtà, tu non fai altro che esercitare il tuo diritto di cittadino a stare dove cavolo vuoi e magari a rispettare i limiti di velocità, che non fa mai male, senza che nessuno debba perciò molestarti.

L'ANTIDOTO/I. Ecco cosa si può fare. 1) Mostrare il dito medio per almento 5 secondi e continuare per la propria strada, cioé sulla corsia di elezione. 2) Farli passare, nella consapevolezza che dovranno comunque frenare bruscamente perché il semaforo è già giallo. Di sicuro consumeranno benzina per l'inutile tirata. Di sicuro, consumeranno le pastiglie dei freni per la brusca frenata. Forse, e dico forse, matureranno esperienza della futilità e stupidità della loro arroganza.
La prossima volta, fateci caso.